«Fondi di salvaguardia cessati anche per l’opposizione al Mose»
L’atteggiamento “ostile” della città e del Comune nei confronti del Mose e dei fondi destinati per le realizzazione delle dighe mobili alle bocche di porto, come una delle cause della progressiva riduzione da parte del Governo dei fondi per la Legge Speciale per Venezia e per la sua salvaguardia fisica. Un atteggiamento che i vari Governi succedutisi - negli anni in cui potevano essere ancora generosi di risorse verso la città - faceva fatica a comprendere.
È la tesi che Paolo Baratta - ora presidente della Biennale, ma alla metà degli anni Novanta ministro dei Lavori Pubblici nel Governo Dini e prima ancora dell’Industria in quello Ciampi - ha esposto ieri a Ca’ Giustinian, nel secondo dei convegni nel cinquantenario della grande alluvione che il 4 novembre del ’66 mise in ginocchio la città.
Questa volta il tema era più specifico: “L’evoluzione delle pratiche di intervento sul patrimonio urbano. Restauri e nuove tecniche”. Ma Baratta nella sua introduzione non ha potuto fare a meno di toccare quello politico.
Rottura determinata dal Mose. «Quando ero al tavolo del Comitatone», ha ricordato, «dovevo fare acrobazie per spiegare ai miei colleghi di governo che era necessario finanziare anche la salvaguardia ambientale di Venezia, mentre dalla città partivano ricorsi e contestazione contro la realizzazione del Mose per la sua difesa dalle acque alte. Proprio la vicenda Mose e del suo finanziamento ha determinato questa rottura nei confronti dei costi della manutenzione ordinaria e straordinaria della città, rendendo di fatto sempre più difficili quei finanziamenti alla Legge speciale che erano indispensabili per la città e di cui anche la Biennale si è giovata per il recupero dell’Arsenale. Poi il progressivo venir meno delle risorse anche a livello centrale, ha fatto sì che fosse sempre più “facile” dire no alla richieste di finanziamento di Venezia, fino alla situazione attuale».
La complessità di Venezia. Ma la riflessione di Baratta si è estesa poi alla Venezia attuale e alla sua crisi. «Della complessità del sistema Venezia», ha spiegato, «non si parla più in questa città. Dopo l’alluvione questa complessità venne compresa e si tradusse nella Legge speciale, con cui si poté dar vita a interventi importanti di conservazione e manutenzione della città. Ora si è persa. C’è chi si concentra sul problema delle grandi navi, chi si indigna per i turisti che fanno il bagno in Canal Grande, ma nessuno vede più il sistema di questa città e del suo funzionamento nel suo insieme, è questo è grave, anche rispetto al suo futuro».
Magistrato alle Acque. «È stato un fatto molto negativo la soppressione del Magistrato alle Acque, un’istituzione che al contrario andava rafforzata con una quindicina di tecnici di livello in più, proprio quelli che mancano alla città», continua Baratta. «Purtroppo il sistema di concessione delle opere a Venezia è stato vissuto come un sistema di abdicazione dello Stato sulla vigilanza dei tecnici e queste sono le conseguenze che ora si pagano. Se non si fa qualcosa di concreto, Venezia è destinata a ricevere ancora molti schiaffi in faccia, lasciando a dilettanti di lusso nazionali e internazionali la possibilità di fare sfoggio su di essa di esibizioni verbali».
Venezia ha bisogno di aiuto. L’assessore comunale all’Urbanistica e Ambiente Massimiliano De Martin - intervenuto anche in rappresentanza del sindaco Luigi Brugnaro - ha sottolineato come «Venezia abbia bisogno di aiuto in questo momento. Penso che la nostra responsabilità oggi sia quella di disegnare la città del futuro per dare attuazione a una quotidianità. Abbiamo ancora bisogno di ossigeno e di risorse». L’assessore ha poi illustrato alcuni dati che forniscono un quadro della connotazione urbanistica della città. Nel 2000 le pratiche per permesso di costruire e Dia erano mille, per arrivare alle 2400 nel 2007 fino a scendere alle 193 di oggi. «Per quanto riguarda le entrate siamo passati dai 7-8 milioni di euro, tra costo di costruzione e oneri primari e secondari, fino al 2011, ai 4,5 milioni a consuntivo dell'anno scorso. Questo vuol dire», ha concluso De Martin, «che sono diminuiti gli interventi di grande rilevanza, che riescono a inserirsi in un tessuto urbano. Venezia deve tornare ad essere attraente, è necessario riscoprire un grosso tessuto della residenzialità, bisogna tornare ad essere un incubatore per il futuro, non un luogo per i mordi e fuggi».
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