In volo d’emergenza verso il Kosovo, due chirurghi veneti salvano una giovane
Il primario veneziano Giovanni Alfonso Recordare e la chirurga Rubina Palumbo hanno risposto a un’urgenza

Rispondere a una chiamata d’emergenza a centinaia di chilometri di distanza, per salvare una vita con un intervento altamente specialistico, è un gesto che va oltre la semplice pratica medica: è un atto di dedizione e umanità.
È ciò che hanno fatto il chirurgo veneziano Giovanni Alfonso Recordare e la chirurga Rubina Palumbo, colleghi nella UOC Chirurgia generale all’ospedale di Cittadella, partiti d’urgenza per il Kosovo per soccorrere una giovane paziente con una grave lesione della via biliare.
Operata con successo, la donna ha già ripreso ad alimentarsi e presto potrà tornare a casa, mentre i medici sono rientrati in Italia per riprendere il loro lavoro quotidiano.
Le lesioni delle vie biliari sono tra le complicanze più temute in chirurgia addominale, in particolare dopo aver subito un intervento di colecistectomia.
«Capita ovunque, anche negli ospedali più attrezzati», sottolinea Alfonso Recordare, direttore della UOC Chirurgia generale, «in uno studio al quale ho partecipato, condotto su 48 centri europei con grande esperienza, abbiamo raccolto circa 900 casi: segno che il problema è tutt’altro che raro».
In Italia, la gestione di queste complicanze è agevolata da un approccio multidisciplinare e dall’accesso a specialisti con esperienza specifica. Ma altrove, come in Kosovo, la situazione è più complessa. L’ospedale di Peja, dove è stata operata la paziente, dispone di risorse limitate.
«Qui la chirurgia è davvero l’ultima spiaggia», rileva Recordare, «ogni gesto deve essere perfetto, perché non ci si può permettere errori: le complicanze possono essere fatali. L’intervento va eseguito da chirurghi con specifica expertise, data la complessità anatomica e la delicatezza della zona coinvolta. Il corretto trattamento di queste lesioni è particolarmente importante, perché si tratta spesso di pazienti giovani con una patologia benigna ma soprattutto perché una errata gestione può avere conseguenze gravissime, tanto da richiedere addirittura un trapianto di fegato».
Raccolta la richiesta di aiuto, l’equipe di Cittadella – composta da professionisti con lunga esperienza nel trattamento delle patologie epato bilio pancreatiche e diretta dal medico veneziano, Alfonso Recordare – si è immediatamente attivata.
La collaborazione tra gli ospedali veneti e quello di Peja ha radici profonde. Dopo la guerra nei Balcani, la Regione Veneto ha sostenuto un progetto di riqualificazione dell’ospedale kosovaro, in parallelo con la presenza del contingente italiano nella Kfor, la forza multinazionale della Nato.
Finanziato dal Ministero degli Esteri, il progetto si è concluso oltre dieci anni fa, lasciando in eredità un rapporto solido tra i professionisti sanitari. E ancora oggi, i chirurghi italiani vengono chiamati per affrontare i casi più complessi: una chiamata a cui rispondono sempre.
«Quando mi chiamano porto spesso qualcuno dei miei collaboratori. Per loro», conclude il primario veneziano, «è una esperienza importantissima di crescita professionale e di integrazione culturale. La dottoressa Palumbo, che era con me in sala operatoria, mi ha detto: non mi lamenterò mai più di non avere la pinza giusta durante un intervento. Ed anche umana: ho visto la profonda emozione nei suoi occhi quando ha visto la gioia dei familiari dopo ore di angoscia in attesa della fine dell’intervento, alla notizia che è andato tutto bene».
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