Ecco perché il violentatore della bimba di 11 anni era libero
Il caso di Mestre riporta alla ribalta la riflessione sulla possibilità di prevenire la reiterazione di certi reati. La spiegazione tecnica di cosa siano le misure di sicurezza, le misure di prevenzione e quanto previsto dal codice rosso. E del perché Massimiliano Mulas, con tutti i suoi precedenti, fosse libero

Come può un uomo con svariate condanne per violenza sessuale essere ancora in libertà e in grado di compiere reati simili? C’era una qualche possibilità di prevenire in qualche modo la violenza di Mestre? La riflessione non può che partire da alcuni punti di domanda.
E, codice penale alla mano, da una amara quanto indispensabile considerazione: non esistono strumenti legali per impedire a vita che qualcuno continui a macchiarsi di reati, anche quelli più odiosi.
Vale anche per Massimiliano Mulas, pur con tutti i precedenti penali accumulati negli anni. A partire da quando, nel 1998, recapita la testa mozzata di un cane ad una ragazza come forma di minaccia; o quando nel 2002 in provincia di Trento tenta di violentare una turista che lo porta a una condanna a quattro anni; o ancora quando nel 2006 si rende responsabile di due tentate violenze ai danni di due studentesse universitarie che gli valgono una condanna a otto anni e tre mesi di carcere.
Ma allora cosa può concretamente fare, o non fare, un ordinamento giuridico? Innanzitutto, va detto che nel momento in cui un condannato finisce di scontare una pena, ritorna in piena libertà. Le variabili, però, possono essere più d’una. A fronte di svariate condanne, infatti, la sua condotta può essere ritenuta abituale da un giudice, al punto da dichiararlo socialmente pericoloso, requisito indispensabile per l’emissione di una misura di sicurezza. Si tratta, come spiegano alcuni penalisti veneziani esperti nel settore, di misure applicate solo a chi si è macchiato di un reato e che mirano a limitare il rischio di recidiva.
Alcuni esempi: l’assegnazione ad una casa di lavoro, il ricovero in una casa di cura (in casi di infermità psichica o per intossicazione), la libertà vigilata. Come detto, però, serve la dichiarazione di pericolosità sociale: solo a quel punto il magistrato di sorveglianza può emettere la misura (per un periodo limitato, sottoposto a verifiche).
Sempre a scopo precauzionale, ma senza la necessità del reato già commesso, ci sono poi le misure di prevenzione (previste anche dalla legislazione antimafia). Anche in questo caso, vengono applicate sulla base di indizi di pericolosità e possono essere disposte dal questore (avviso orale, foglio di via) o dall’autorità giudiziaria (sorveglianza di pubblica sicurezza, obbligo di soggiorno). Durano da un minimo di un anno a un massimo di cinque anni, sono revocabili o rinnovabili.
Sempre a scopo preventivo, c’è anche quanto previsto dal “codice rosso” a tutela delle vittime di violenza di genere. A fronte di una denuncia, la normativa prevede tra le possibili misure cautelari anche il braccialetto elettronico anti-stalking.
A differenza di quello previsto in caso di arresti domiciliari, i dispositivi sono due, uno non rimovibile per lo stalker e un altro per la sua vittima, che viene avvertita nel caso questo decidesse di avvicinarsi oltre i limiti consentiti. In questo mosaico giuridico si inserisce la vicenda di Mulas, la cui unica certezza è il dramma vissuto dalla bambina e dai suoi familiari, e l’esigenza sociale che la giustizia faccia il suo corso.
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