"Via il crocifisso dalle scuole"

Il governo presenta ricorso. Il Vaticano: una sentenza sbagliata e miope
ROMA
. Viola «il diritto dei genitori di educare i propri figli in conformità con le proprie convinzioni e quello dei bambini a credervi o non credervi»; la sua presenza può «dare la sensazione di essere educati in un ambiente scolastico che porta impresso il marchio di una data religione». E ancora: potrebbe «disturbare coloro i quali praticano altre religioni o sono atei, in particolare se appartengono a minoranze religiose». E’ per questo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha bocciato la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane. Ha fatto anche di più: ha sancito il «dovere di imparzialità e neutralità dello Stato in materia religiosa» ricordando inoltre che «è tenuto alla neutralità confessionale nel quadro dell’istruzione pubblica obbligatoria e non deve tenere in considerazione la religione, ma educare gli allievi al libero pensiero».


SETTE ANNI DI BATTAGLIE
. Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto alla scuola «Vittorino da Feltre» di Abano, frequentata dai suoi due figli, di togliere i crocifissi dalle aule in nome del principio di laicità dello Stato. Dopo la risposta negativa a nulla valsero i ricorsi davanti ai tribunali italiani: nel 2005 il Tar stabilì che il crocifisso è un simbolo della storia, della cultura e dell’identità italiana e respinse il ricorso. Un anno dopo anche il Consiglio di Stato le diede torto. Da qui la causa a Strasburgo.


LA SENTENZA.
«Questa sentenza sancisce - spiega l’avvocato Niccolò Paoletti, legale di Soile Lautsi - il rispetto della pluralità e il principio di laicità e neutralità dello Stato». In sostanza nel mirino c’è l’obbligatorietà del crocifisso nelle aule prevista dal Concordato. La sentenza, la prima in questa materia, ha poi previsto che il governo paghi alla donna un risarcimento di 5mila euro per danni morali perché sono stati violati «il diritto all’istruzione e quello alla libertà di pensiero, coscienza e religione» dei suoi figli.


È SUBITO RICORSO.
«Il governo ha presentato ricorso» ha fatto sapere il ministro dell’Istruzione Gelmini. La sentenza non è in ogni caso definitiva. «Passerà in giudicato fra tre mesi - spiega Paoletti - in caso di reclamo, spetta a un filtro di 5 magistrati dichiararlo ricevibile o meno. Se sarà ricevibile allora la questione sarà rinviata alla Grande camera, composta da 17 giudici», mentre la Camera che ha pronunciato la sentenza di ieri era composta da sette (tra cui l’italiano Vladimiro Zagrebelsky). E se il governo dovesse «perdere»? Potrebbe esimersi? «No - risponde il legale - perché si porrebbe fuori dalla legalità internazionale. L’esecuzione sarà controllata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa».


CHIESA ALL’ATTACCO.
Il Vaticano considera «sbagliata e miope la decisione della Corte» ha detto il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. E anche un comunicato della Cei parla di «sentenza ideologica».


POLITICI «CONTRO
». Il mondo politico si divide, ma la maggioranza dissente dalla decisione europea. Nel governo si va dal «nessuno riuscirà a cancellare la nostra identità» della Gelmini, al «è una violenza» di Scajola. E mentre il presidente della Camera Fini si augura che la sentenza «non sia negazione del cristianesimo», il segretario del Pd Bersani si mantiene prudente: «Penso che un’antica tradizione come il crocifisso non possa essere offensiva per nessuno».
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