Verso le elezioni: sarà il partito della crisi a governare dopo il voto
Un voto senza. I tabelloni desolatamente vuoti della propaganda elettorale sono il simbolo di un appuntamento fiacco, senza passione, vissuto in rassegnata indifferenza. Forse perché, al di là del responso che uscirà dalle urne, il risultato finale è scontato ancor prima di esprimere la propria scelta: a vincere sarà il partito, invisibile ma potente, della crisi. Certo, i voti affideranno la gestione del dopo a una coalizione, con il suo premier e i suoi protagonisti; ma chiunque sia a prevalere, la portata dell’impegno è tale da non consentire alternative alla rigorosa linea adottata da quel Mario Draghi che il sistema partitico uscente (e rientrante) ha di fatto tolto di mezzo con le consuete deleterie logiche di Palazzo. Contro il sentimento della stragrande maggioranza del Paese.
Non è soltanto questione di linea politica, ma di qualcosa di molto più radicale: serve un autentico cambio di paradigma. La guerra prima o poi cesserà, i costi dell’energia scenderanno, l’inflazione finirà per sgonfiarsi. E tuttavia, per i singoli Paesi Italia in testa, sarà solo l’inizio di una nuova, esigente fase storica sintetizzata dal presidente francese Macron con un’immagine di straordinaria efficacia: è finita l’era dell’abbondanza. Un primo, forte avviso ci era già arrivato con la devastante pandemia del Covid, e prima ancora con la micidiale crisi finanziaria; se qualcuno pensava che si trattasse di un falso allarme, la crisi ucraina ha provocato la fine delle illusioni. Nulla, davvero, sarà più come prima. Sommandosi ai catastrofici effetti dei cambiamenti climatici, pure questi provocati dalle mani dell’uomo, tutto questo ci sta mettendo davanti a un’impietosa evidenza: o giriamo pagina, o sarà il libro a chiudersi.
Come in tutte le crisi anche questa, più feroce di altre, non è esplosa a caso, ma viene da lontano. Per decenni, dall’ultima fase del secolo scorso, abbiamo vissuto in modo sconsiderato sopra le righe, sedotti e stimolati da un incentivo seriale a consumare di più, sempre di più: beni materiali, in primo luogo, ma anche sentimenti, relazioni, valori. Dopo aver dato fondo all’esistente scorte comprese, non sazi abbiamo ipotecato il futuro: alimentando debiti pubblici e privati crescenti, emarginando quote crescenti di persone, compromettendo a volte in modo irrimediabile l’ambiente; convinti in ogni caso che le risorse fossero inesauribili, e che la logica perversa del “prima io” dovesse comunque garantire a ciascuno una corsia preferenziale nell’accumulo, in una sconsiderata guerra di tutti contro tutti.
Di fronte a questa deriva, tocca alla politica per prima invertire la rotta: se finora ha assecondato la pancia, le pretese, i rancori, ora deve prendersi la responsabilità e gli oneri di un duro cambiamento radicale, che dichiari chiusa per sempre l’era dell’abbondanza. Non solo in Italia, certo. Ma per quanto ci riguarda, gli impegni e le promesse che stanno caratterizzando questa mediocre campagna elettorale vanno in tutt’altra direzione; e chiunque sarà a prevalere, la qualità delle coalizioni in campo, abborracciate e precarie, fa temere per il dopo-voto la stessa rissosità e l’identica incapacità di governare che hanno caratterizzato le precedenti. Con il rischio concreto di ritrovarsi, tra una manciata di mesi, al punto di partenza. Sempre meno in grado di consumare; sempre più consumati.
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