Venezia, messa di Natale in carcere. Moraglia: «La persona è più grande dei suoi errori»
La lettera dei detenuti al Patriarca: «Possiamo essere una risorsa per questa città, abbiamo tanto da dare»
«Non siamo vittime o bisognosi, ma una risorsa per la città. Vogliamo ricordarle che ci siamo anche noi e che abbiamo tanto da dare. Qui ci sono elettricisti, idraulici, cuochi, commercialisti, che possono dare il loro contributo». Così i detenuti della casa circondariale di Santa Maria Maggiore, a Venezia, hanno accolto il patriarca Francesco Moraglia, che questo giovedì ha celebrato la messa in carcere, in occasione delle festività.
La guida della Chiesa veneziana ha ricordato come la responsabilità dei reati sia anche sociale: «Chi è qui ha fatto un errore, ma andando al di là della legge, dovremmo chiederci perché una persona ha sbagliato, in quale contesto sociale si è trovata. Con questo non dico che la responsabilità individuale non ci sia, ovviamente, ma la persona è più grande degli sbagli che ha fatto».
In quest’ottica, il carcere per Moraglia diventa un luogo di cammino. «Anche noi come Diocesi faremo il possibile per permettere ai detenuti di usufruire di tutte le opportunità, in modo che la pena sia riabilitazione» ha detto durante l’omelia, ricordando come la casa di reclusione non sia una realtà avulsa, ma una parte del tessuto sociale veneziano.
«La città cresce quando capisce che la società non è fatta solo dai luoghi dell’alta cultura, ma da persone concrete da cui imparare, anche da chi ha sbagliato». Poi viene il Natale, «la novità che irrompe, che ci insegna che il bene può iniziare da ciascuno di noi, che il perdono è il lievito della società». Un perdono che, però, per il patriarca non è fine a se stesso ma «dev’essere dato e ricevuto in un cammino di crescita».
E qui, allora, entra in gioco il ruolo educativo del carcere. Non è mancato, a tal proposito, un pensiero per don Antonio Biancotto, l’ex cappellano morto lo scorso giugno. La parola poi è andata a un detenuto che con una toccante lettura si è rivolto ai compagni, al patriarca, alla città intera: «Se vogliamo che il mondo vada avanti, teniamoci per mano. La libertà non ci serve se non abbiamo il coraggio di guardarci in faccia».
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