Venezia e le sue originiin mostra al Museo Diocesano

Sa di sacro Torcello, con il suo sapore profumato del mistero, di un’emozione intensa, di una bellezza sublime. E se i mille anni della Basilica hanno per le Sacre Scritture lo stesso valore di un battito di ciglia, sono anche la memoria storica dell’origine di Venezia, del suo essere così fortemente l’altrove di quell’Oriente che è il fil rouge della sua storia artistica e spirituale. Un percorso che parte quindi da lontano quello espresso nella mostra - curata da don Gianmatteo Caputo e Giovanni Gentili - inaugurata ieri dal Patriarca Angelo Scola al Museo Diocesano di Sant’Apollonia, l’ultimo grande evento delle celebrazioni per il millenario della Basilica di Santa Maria Assunta. Un pellegrinaggio verso la bellezza che inizia tra il V e il VII secolo, quando è in atto l’evangelizzazione dell’Alto Adriatico e centri come Aquileia e Grado sono di importanza straordinaria.


Della Basilica di Torcello non è rimasto nulla degli arredi e degli oggetti che la decoravano e le tracce da percorrere per giungere a una comprensione della cultura ecumenica e sociale arrivano da altri luoghi, come la placca in argento, di origine bizantina, della chiesa dei santi Maria e Donato di Murano, una delle immagini più complete dell’iconografia della Vergine. Così come da Caorle è esposta la Pala d’oro, di solito difficile da vedere in quanto posta molto in alto, significativa perché è un vero e proprio assemblaggio di elementi diversi ma che in realtà compongono un’Annunciazione di straordinaria bellezza. Ancora sull’iconografia mariana con la placca in marmo proveniente da Salonicco della cosiddetta Madonna Fontana, ovvero con le mani forate da cui usciva l’acqua benedetta.


Nel grande salone la sezione sulle testimonianze dell’arte per la liturgia nei primi secoli del secondo millennio, con coperte di codici realizzate con smalti e perle, reliquari, croci con miniature e incredibili esempi dell’oreficeria veneziana o ancora i plutei a intreccio o le formelle marmoree abitate da pavoni e da animali fantastici da porre a confronto con la produzione di porcellana ancora visibile. Da non perdere il gruppo in pietra d’Aurisina con l’Adorazione dei Magi, difficilmente visibile perché al Seminario Patriarcale, opera di maestri ferraresi dell’inizio del Duecento.


L’ultima sezione della mostra è dedicata all’icona e alla sua evoluzione più propriamente veneziana. Delle sacre immagini bizantine importate specie dopo la quarta crociata del 1204, sono documentate preziose icone greche, tra le più antiche conosciute. Riflessi dell’immagine divina, di Cristo, della Vergine o di santi, le icone si rivestono di luce grazie all’uso dei metalli, degli smalti o delle pietre preziose o si elaborano in diversità di materiali come l’avorio, il micro mosaico o la seta come l’Epitaffio del Cristo morto, finissimo ricamo in sete policrome del museo bizantino di Salonicco. E una grande novità: il rilievo al laser della basilica visibile attraverso un mega schermo. Una mostra che è dunque un’occasione unica per un viaggio tra l’Oriente e l’Occidente in una città che ha saputo far sintesi delle tradizioni rielaborandole ed instaurare dialoghi e meticciati - termine così caro al Patriarca - culturalmente significativi. Una mostra che contribuisce a vedere rivivere i primi secoli della storia della civiltà veneziana attraverso l’arte e la fede dei suoi primi abitanti.

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