Una tendopoli sotto Rampa cavalcavia
La città dei disperati cresce negli angoli nascosti. I senzatetto dormono in giacigli di fortuna costruiti con nylon e cartone
Sono tornati con tende, pezzi di nylon, cartoni, frasche, pezzi di legno e quanto può sercvire al riparo. Lenta ma innesorabile è sorta sotto al cavalcavia di Mestre una città nella città. Un’altra città di disperati. Accattoni, sbandati dell’est Europa, romeni e rom. Un mondo di emarginati che vive elemosinando, rubando il neccessario per mangiare. Gente sfruttata e sfruttatori. Veri handicappati e falsi storpi. Persone che non sanno dove andare che vivono come i topi. Persone che si trovano lì sotto a volte per caso ospitati da altri miserabili. Tutti disperati però. Gente altre ai margini della città che pulsa e che consuma. Uomini e donne, giovani e vecchi e poi i senza età che dividono la cena e la colazione con le pantegane compagne di vita.
La città sotto la città si popola di notte e al mattino si svuota. Come ombre i miserabili arrivano quando la notte cala. Entrano da via Ca’ Marcello, dai binari della ferrovia. Una trentina le tende che si possono vedere, ma il cavalcavia della Vempa è profondo e il buio nasconde la gran parte della città sotto la città. Una quarantina le persone che la popolano. Entrare lì dentro è come infilarsi sotto ad un tappeto, dove quando si scopa il pavimento si nascondee la polvere. Lì sotto la città nasconde i suoi miserabili. Gli stessi che da due anni la città caccia da un luogo ad un altro. Dall’argine del canal Salso lungo la ferrovia, come dai casolari di Marghera, senza dimenticare la bidonville di sotto l rmpa Rizzardi e i bioscehtti dei Pili. E’ una città di fantasmi che nasce e svanisce in poco tempo.
L’odore è forte, un misto di cibo cotto, escrementi e fumo. E’ l’odore della vera miseria che è un pugno nelle coscenze perchè lo senti quando stai per entrare all’Outlet grandi firme che sorge a due passi. Contraddizione di una città dei nostri tempi: sopra il bello e i simboli della ricchezza, sotto la miseria più nera. In quella città sotto la città i tempi vengono dettati dai ritmi dell’elemosina: al mattino in piedi all’alba e poi via in cerca di un angolo del centro storico o della terraferma dove allungare una mano e impietosire la gente. Ma ci sono pure i treni, i convogli per Padova e Treviso dove salire e chiedere l’elemosina. Una giornata lunga, faticosa, senza speranza di un futuro che si chiude quando fa buio e si ritorna lì sotto a dividere il giaciglio con i topi.
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