Un delitto dimenticato: il film su Giuseppe Taliercio e la lotta al terrorismo a Marghera

La tragica vicenda dell'ingegnere Giuseppe Taliercio, direttore del Petrolchimico Montedison a Porto Marghera, sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1981, rivive in un film diretto da Mario Chiavalin

Daniele Ferrazza
La grande manifestazione di Mestre svoltasi il 6 luglio 1981 con Giorgio Benvenuto, Pierre Carniti e Luciano Lama
La grande manifestazione di Mestre svoltasi il 6 luglio 1981 con Giorgio Benvenuto, Pierre Carniti e Luciano Lama

Un delitto oscurato: non solo perché compiuto lontano dai grandi centri dove si stava consumando lo scontro sociale tra il terrorismo e la società civile. Ma anche perché ristretto tra l’attentato al Papa in Piazza San Pietro, l’arresto del banchiere Roberto Calvi, la scoperta e la pubblicazione delle liste della P2 e la nascita del primo governo dal dopoguerra guidato da un non democristiano, Giovanni Spadolini.

Tra il maggio e il luglio del 1981 il sequestro e l’omicidio dell’ingegnere Giuseppe Taliercio, il direttore del petrolchimico Montedison di Porto Marghera, segnarono una svolta civile per la città, chiudendo quei tragici diciassette mesi iniziati con l’omicidio di Sergio Gori (29 gennaio 1980) e poi del vicequestore Alfredo Albanese (12 maggio 1980). Tre omicidi che insanguinarono la città e i cui colpevoli furono riconosciuti nella colonna veneta delle Brigate Rosse.

Adesso la tragedia di Taliercio è diventato un film, realizzato dal regista Mario Chiavalin, che sarà presentato il 13 novembre prossimo in città. Quasi una “restituzione” di questa vicenda a una città che sembra aver dimenticato ciò che accadde in quei drammatici mesi.

L’attore Michele Franco nei panni di Giuseppe Taliercio
L’attore Michele Franco nei panni di Giuseppe Taliercio

Giuseppe Taliercio fu rapito mercoledì 20 maggio, all’ora di pranzo, nel suo appartamento di via Milano, una laterale di Corso del popolo: un commando di terroristi, uno vestito da finanziere, suonò il campanello e prelevò il direttore nascondendolo in una cassa. Fu imprigionato in un casolare in Friuli per 46 giorni e poi ucciso a revolverate, il suo corpo fatto ritrovare nel bagagliaio di una Fiat 128 azzurra in via Pasini prima dell’alba del 5 luglio.

«Assassinato come Moro» titolarono i giornali dell’epoca sparando la foto del corpo accovacciato nel baule. Il lunedì successivo una grande manifestazione portò in piazza migliaia di persone: c’erano i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Luciano Lama, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto. Lo striscione del petrolchimico recitava: «I nazisti delle Br hanno assassinato Taliercio.

I lavoratori del petrolchimico contro il terrorismo». Quello striscione esiste ancora.
Spiega il regista Chiavalin, un turbolento passato nella new economy e oggi definitivamente consegnato al mondo del cinema: «Ho svolto una riflessione, anche con la famiglia Taliercio, sul significato da dare a questo film: pochi ricordano questa vicenda, perché appunto accaduta dentro a un contesto di grandi fatti concomitanti.

E poi perché sono passati più di quarant’anni. Ma l’ingegnere è stata una persona che ha pagato per il ruolo che ricopriva in quel momento. La grande manifestazione di piazza ha segnato uno spartiacque perché la società civile, la politica, i sindacati si sono uniti contro il terrorismo, senza se e senza ma. Ed è stato l’inizio della fine della stagione del terrorismo. Le Brigate Rosse, dopo quel sequestro e quello del generale Dozier, non si sono più riprese».

A uccidere Taliercio fu il brigatista romano Antonio Savasta, a capo della colonna veneta e protagonista del successivo sequestro Dozier, dopo il quale diventò collaboratore di giustizia. Fu condannato a dieci anni di reclusione. Gli esecutori materiali del sequestro Pietro Vanzi, Francesco Lo Bianco e Gianni Francescutti, vennero condannati all'ergastolo.

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