Tamponi rapidi, Rigoli: «Complotto contro di me»
Lettera aperta e un libro-verità, il medico trevigiano è stato assolto dal tribunale di Padova. E ha scritto sul web un accorato messaggio: «Ferite aperte, darò i dettagli della vicenda»
![Il dottore Roberto Rigoli in tribunale a Padova](https://images.nuovavenezia.it/view/acePublic/alias/contentid/1gvtsohlhypcdbq5aa8/0/copia-di-copy-of-image_null.webp?f=16%3A9&w=840)
Alla gogna e ritorno. «Le mie ferite sono ancora aperte ma ora, con calma e determinazione farò in modo che si conoscano i dettagli della vicenda: gli autori del complotto e i motivi che li hanno spinti ad agire con tanta cattiveria».
Parole di Roberto Rigoli, a capo delle rete veneta di microbiologie nell’emergenza Covid e artefice della campagna di tamponi rapidi nella seconda ondata del virus.
Incriminato per falso ideologico e turbativa d’asta, il trevigiano (al pari di Patrizia Simionato, già direttrice della governance sanitaria Azienda Zero) è stato infine prosciolto, a processo ancora in corso, dal giudice di Padova perché il fatto non sussiste.
Un sollievo che non cancella l’amarezza, una volontà di riscossa che muove su più fronti: l’accorata lettera aperta agli amici postata sul web; il libro-verità prossimo all’ultimazione; le azioni giudiziarie a tutela di un’immagine calpestata e offesa.
Così, a quanti hanno creduto fin dall’avvio nella sua innocenza, Rigoli esprime gratitudine e confida i contorni familiari di un dolore emotivo profondo: «Mio padre se n’è andato qualche mese fa senza aver avuto la possibilità di vivere la riconquista di una dignità rubata. Mia madre, alla tenera età di 97 anni, naviga in Internet tentando di raccogliere quelle briciole di soddisfazione, stanca di assistere al massacro ingiusto del figlio. Mia figlia Giulia, alla notizia della chiusura della vicenda, è scoppiata a piangere per dieci minuti dopo aver tenuto in silenzio sentimenti di sofferenza per tre lunghissimi anni. Mia moglie mi è stata accanto vivendo la paura dell’arrivo di una complicanza infausta. I miei fratelli, ognuno nel proprio mondo, hanno vissuto le stesse ansie».
La fibrillazione (atriale, non metaforica) che, accompagnata da ripetuti ricoveri, ha scandito la stagione dei veleni. L’onere e i costi di una difesa delicata («La mia condizione economica, con l’aiuto dei genitori, mi ha consentito di scegliere un bravo avvocato»).
Il baratro della «depressione senza ritorno», scampato grazie alla «formazione mentale/sportiva che mi ha consentito di resistere tenacemente», e la resa dei conti con gli «autori di queste malefatte», doverosa «soprattutto verso le nuove generazioni alle quali stiamo lasciando un mondo peggiore».
Poi il libro, ormai in fase avanzata – l’ultimo capitolo, quello processuale, attende le motivazioni della sentenza assolutoria – che promette una ricostruzione dettagliata e in parte inedita della strategia dei test a risposta rapida a fronte dell’estensione del contagio, preceduta da una paginetta a tinte autobiografiche: «Racconto il mio primo amore, la microbiologia. A otto anni ero una peste e mio padre, primario a Vittorio Veneto, mi mise sotto il naso un microscopio con la piastrina di uova di zanzara. L’obiettivo era tenermi buono, io restai incantato da quelle forme mutevoli e da allora non volli altri giocattoli».
Oltre l’amarcord: «Le cicatrici profonde rimarranno per tutta la vita, non provo rabbia ma tanta tristezza per chi ha avuto il coraggio di organizzare tutto ciò».
Dove l’allusione corre forse al sospetto, largamente diffuso nella sanità pubblica, che il disturbo ai lauti profitti garantiti dai tamponi molecolari non sia estraneo al citato “complotto”.
Sullo sfondo, ma non troppo, la rivalsa sul versante legale. La denuncia per diffamazione nei confronti di Sigfrido Ranucci e degli inviati di Report, oggi sottoposti a giudizio. L’esposto sulla fuga di notizie culminata nella divulgazione delle intercettazioni telefoniche disposte a suo carico dalla Procura di Padova.
La linea da adottare nei confronti del grande nemico, Andrea Crisanti: secondo il microbiologo e senatore del Pd, il collega/rivale avrebbe adottato i test rapidi senza adeguata validazione clinica, esponendo così al rischio di morte centinaia di persone.
Accuse pesanti come pietre, che hanno innescato l’inchiesta salvo sbriciolarsi nel corso del dibattimento: la difesa di Rigoli ne sta valutando il rilievo penale e civile.
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