Spaghetti in camicia nera nel menu: un cliente protesta e lascia il ristorante
Il titolare del Colombo, in centro storico a Venezia, ha ribattezzato così la pasta al nero di seppia: «Non cambio nome, non c’è apologia del Ventennio»
Un piatto di spaghetti. Che strizza l’occhio al fascismo. E così, quel piatto che in tutti gli altri ristoranti della città si chiama “spaghetti al nero di seppia”, qui si chiama “spaghetti in camicia nera” (per la cronaca: il prezzo è di 24 euro). Hai voglia a sostenere che con il fascismo non c’entra nulla.
Al centro della polemica c’è il ristorante Al Colombo, a due passi dal teatro Goldoni di Venezia, che ha nel menu, da anni, gli “spaghetti in camicia nera”.
La dicitura non è piaciuta a un medico di Ravenna, passato da Venezia per qualche giorno. L’intenzione era quella di andare a mangiare nel locale storico di calle del Teatro ma, una volta visto il menù, ha deciso di rinunciare al pranzo e ha sollevato la polemica, suggerendo al titolare, Domenico Stanziani, di «lasciar stare i fascismi».
Per il dottore non ci sono dubbi che si tratti di una scelta ben precisa, dal momento in cui la traduzione letterale del piatto dalla versione del menu in inglese sarebbe “spaghetti al nero di seppia”, ma il titolare ha optato per un’altra formula nella lista in italiano, decisamente meno neutra. Il nome scelto evoca la camicia nera, il distintivo che vestiva le milizie fasciste durante il ventennio.
Allusione evidente. Stanziani, interpellato, non fa una piega: «Non c’è alcun riferimento al fascismo, è semplicemente un piatto di spaghetti e il suo nome è così da quasi cinquant’anni. Sono spaghetti resi scuri dal sugo, come se fossero rivestiti da una normalissima camicia nera, tutto qua», commenta, facendo sapere che non è la prima volta e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima che i clienti gli suggeriscono di cambiare la dicitura nel menù.
Nessun dubbio, nessun ripensamento: gli spaghetti in camicia nera continueranno a restare nella lista delle pietanze proposte dal locale storico, datato 1789.
«Non voglio cambiare nome al piatto, perché dovrei farlo? È questione di libertà, se la do vinta a queste persone creo un precedente», aggiunge, ribadendo che «non c’è alcuna volontà politica dietro».
Ricorda Vannacci che gioca con il simbolo della decima, dicendo che è soltanto un altro modo di chiamare la “X”. Tra l’altro si narra che il duce sia passato Al Colombo, durante una delle sue visite in città.
«In ogni caso, il fascismo fa parte della storia, non possiamo cancellarlo», argomenta Spaziani, «anche se, certo, io per primo sono d’accordo a dire che sia stato sbagliato. Ricordiamoci, però, che è stato detto anche di recente che l’apologia del fascismo sta nella violenza. Io non ne faccio, offro un servizio e spero di farlo al meglio».
Il caso è stato riportato, nell’edizione di sabato, nella rubrica “Pietre” del giornalista Paolo Berizzi di Repubblica, a cui il medico dell’Emilia-Romagna ha scritto, esprimendo il suo disappunto per la vicenda.
«Ma sono davvero questi i problemi della città?», continua il ristoratore, «Siamo in mezzo alla paccottiglia e ai delinquenti, e ci preoccupiamo del nome della pastasciutta?».
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