Sci, industria insostenibile. «Per ogni grado in più la quota si alza di 220 metri»

Lo studio dell’Università di Padova: «I gestori oramai vivono con sovvenzioni pubbliche». La replica degli impiantisti: «Creiamo ricchezza ed evitiamo lo spopolamento». Ma il futuro è segnato

Francesco Dal Mas
Un cannone per l'innevamento artificiale, una pratica che sarà sempre più diffusa
Un cannone per l'innevamento artificiale, una pratica che sarà sempre più diffusa

La prossima settimana il più grande hub al mondo di sci, il Consorzio Dolomiti Superski, annuncerà tutte le novità della stagione invernale, confermando fra l’altro 80 milioni di investimenti. Ad esempio per una nuova seggiovia in Val Zoldana. Federico Caner, assessore regionale al turismo, ha destinato oltre 3 milioni agli impianti di risalita per rinnovare gli strumenti di produzione della rete artificiale.

Ma dall’Università di Padova arrivano segnali di insostenibilità per lo sci. «Dalle nostre elaborazioni dei dati forniti da Arpav si evidenzia un innalzamento di 220 metri della quota sciabile per ogni grado di aumento della temperatura in quota – commenta Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza Aziendale all’ateneo patavino – e si disegna un quadro di insostenibilità dell’industria dello sci, già resa evidente dai bilanci di gestione degli impianti di risalita e dalle necessarie sovvenzioni pubbliche per gli investimenti».

Da qui l’impegno anche del Museo di Geografia di Unipd, come afferma Giovanni Donadelli, il curatore.

Replica pacatamente il presidente degli impiantisti a fune del Veneto (Anef), Marco Grigoletto. «Non c’è neve? Nel 2021 quando eravamo chiusi per Covid la neve ha raggiunto i 4 metri a 1600 metri. Quest’anno invece abbiamo avuto un inverno più secco. Considerando queste situazioni anche il nostro settore si sta adeguando e lo sta facendo tutelando il territorio, aumentando l’utilizzo di tecnologie complesse per l’innevamento e mantenendo l’acqua in alta quota fino a primavera».

Grigoletto ricorda che la neve prodotta «con dei costi che ci carichiamo noi e in assenza totale di additivi» rimane sulle piste fino a primavera e quando si scioglie rientra nello stesso bacino imbrifero di partenza. «L’uso di acqua di tutta la montagna veneta per l’innevamento è di “soli” 3 milioni di metri cubi che ritornano appunto nello stesso bacino a primavera ma per avere un metro di misura reale bisogna considerare che l’industria veneta consuma almeno 150 milioni di metri cubi e questi invece “spariscono” nei prodotti che utilizziamo ogni giorno».

«Il turismo invernale sull’arco alpino e appenninico – conclude – produce un fatturato totale di circa 10 miliardi e da lavoro a circa 20mila persone solo nella stagione invernale. Da soli facciamo da moltiplicatore 10 sull’indotto che creiamo: se non esistessimo la montagna sarebbe abbandonata». 

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