Strada Romea, subito fatti per fermare la strage
Ancora un incidente. Ancora un morto. Ancora la Romea, la statale 309, a macchiarsi di sangue. Dopo anni di promesse e progetti fermi, servono interventi urgenti per mettere in sicurezza una delle strade più pericolose d’Italia


Appena cinque giorni fa pubblicavamo su queste pagine una fredda tabella che ricapitolava l’impressionante numero di croci disseminate negli ultimi tre anni lungo i 126 micidiali chilometri d’asfalto che corrono dalle porte di Marghera alla periferia di Ravenna. La Romea, la statale 309, la “strada della morte”. Oggi siamo qui, puntuali ed esasperati, ad aggiornare il conteggio. Un altro schianto, di nuovo con un camion coinvolto, e un’altra persona deceduta.
A scrivere di incidenti accaduti sulla Romea il rischio è di cadere in una tragica routine: «Frontale a Codevigo». «Ah, ok. Solito. Quanti morti?». «Due». «E di dove sono?». Quante volte lo abbiamo sentito, questo dialogo impersonale, nelle nostre redazioni? Quante volte la voce di un vigile del fuoco oppure di un operatore del Suem ha stancamente comunicato al nostro cronista di nera l’ennesimo schianto? E quante volte la sentiremo ancora, e ancora, e ancora, prima di poterne venire a capo una volta per tutte?
Eliminare gli incidenti stradali è più che un’utopia: è un sogno irrealizzabile. Un po’ come pretendere di azzerare le morti sul lavoro o come illudersi di aver abrogato la povertà per legge. Chi ha in carico il non invidiabile compito di gestire una situazione di cronica inefficienza che affonda nel passato ne parla soprattutto quando l’attualità preme, il giorno stesso o quello dopo il botto di turno (nel caso della povertà, quando si è sotto elezioni, per esempio, e si va a caccia di facile consenso).
A seconda del caso, si commenta spinti dall’emozione del momento, si promette un’azione ficcante, un tavolo di confronto, una legge che inasprisca le pene - grande classico che non passa mai di moda -, si rispolvera un progetto rimasto troppo a lungo in un cassetto, si denuncia un’intollerabile latitanza. Parole senz’altro sincere, ma inevitabilmente avviluppate da un velo di umana ipocrisia, nella consapevolezza impronunciabile di stare a marciare sul posto. Per restare alla Romea, domani ci rimetteremo in attesa del prossimo disastro.
Ecco, noi vorremmo riuscire a sfuggire a questa logica. Lo sappiamo bene: le parole che ora state leggendo non sono risolutive. Certo ne scriveremo ancora, con insistenza e frequenza, sui nostri giornali e sui nostri siti.
Cercheremo di fare, nei nostri limiti, tutto quanto si può per stimolare chi ha il potere di rimediare, di rendere un po’ meno assassina la 309. Ma quel che chiediamo – davvero, con forza – sono fatti. Limiti di velocità più stringenti? Pattuglie sguinzagliate notte e giorno lungo il percorso? Divieto di transito per i mezzi pesanti? Più semafori? Non possiamo stabilire noi quali siano le prime, immediate azioni concrete da adottare per ridurre l’indice di pericolosità tout court della Romea, in attesa del chimerico tracciato alternativo, progetto-miraggio che risale allo scorso millennio.
Sentiamo solo che le parole dovrebbero stare a zero, mentre un provvedimento sensato avrebbe bisogno di essere proposto e varato non domani: oggi.
Anzi, ieri. E forse quell’ultima vittima, di cui riferiamo qui sopra, stamattina avrebbe potuto risvegliarsi nel suo letto e fare colazione con i suoi cari.
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