Rivoluzione Amazon pacchi, codici e lavoro il segreto è la velocità
VIGONZA. Sono tutti sui trent’anni, facce segnate dalla notte di lavoro. In maniche corte e pettorina gialla, spingono carrelli a ritmo di musica in questo capannone grande come un campo da calcio e pieno di carrelli gialli, blu e grigi, vuoti o pieni di pacchi, a seconda della loro missione. Non è ancora l’alba nel deposito di smistamento di Vigonza, avamposto di Amazon nel Veneto, luogo di transito di scatole non più grandi di un’apertura di braccia e penultima tappa di quel processo tecnologico un po’ miracoloso che concretizza desideri nel tempo di una notte. Un click per un acquisto, il tempo di dormirci sopra e l’oggetto è già nelle nostre mani.
È una promessa che si rinnova milioni di volte al giorno, quella del colosso di Jeff Bezos. Offrire tutto, al prezzo migliore possibile e nel minor tempo possibile. Un progetto nato vent’anni fa in un garage fra cinque persone e che oggi muove 500 mila lavoratori nel mondo. “Work hard, have fun”, è invece la promessa che l’azienda fa ai suoi dipendenti: lavorare duro e divertirsi. E non sarà proprio così, perché muovere scatole costa fatica, ma lo spirito resta quello della startup. E qui dentro sono in tanti a confermare che Amazon resta “il posto migliore dove sbagliare”, proponendo idee, sentendosele promuovere (o bocciare). L’ultima è di un dipendente ed è appesa al centro della lavagna tra gli uffici e il capannone: mettere uno stop in più nel parcheggio può renderlo più sicuro. Proposta approvata. «Lo faremo a giorni», annuncia Fabrizio Sarti, direttore dello stabilimento. Di idee, più o meno rivoluzionarie, Amazon ne partorisce 3.500 ogni anno: tanti sono i brevetti depositati. I droni per le consegne ultra rapide, rimasti solo un’idea, sono uno dei più noti. Il braccialetto elettronico per i dipendenti, oggetto due mesi fa di vivaci dibattiti sindacaleggianti, è un altro brevetto: servirebbe ad accelerare il lavoro nei centri di distribuzione, liberando le mani di chi sposta pacchi dovendo impugnare uno scanner. Altri brevetti sono già realtà. Negli Usa c’è Amazon Key: i corrieri hanno il codice della serratura di casa e portano i pacchi in salotto, al cliente viene dato un kit di videosorveglianza per assistere alla consegna dal cellulare.
Aperto a ottobre dell’anno scorso, il deposito di Vigonza, uno degli otto in Italia, dà invece gambe alla promessa di consegnare più in fretta. Perché le merci arrivate nella notte dal centro di distribuzione, vengono riordinate, suddivise per indirizzo e preparate per i corrieri locali, che alle 7 del mattino se le caricano nei furgoni e garantiscono la consegna in giornata. Con i corrieri nazionali i tempi si allungavano anche di un giorno. E un giorno fa la differenza.
Ma per capire come si arriva fin qua, ad un passo dal traguardo, bisogna fare il percorso al contrario ed entrare nel centro di distribuzione di Castel San Giovanni, provincia di Piacenza, nome in codice MXP5. È la base di Amazon nel nord Italia, 100 mila metri quadri di stabilimento. Un cubo imponente, visibile fin dall’autostrada, dove lavorano 1.600 persone che salgono a 2 mila nei periodo di picco, tre turni al giorno, 40 ore alla settimana, da lunedì al venerdì sempre in attività, sabato e domenica operativi solo fino a sera. È qui che il desiderio del cliente prende forma, dal computer al pacco, dal virtuale al reale. Il miracolo dell’e-commerce, appunto. Il “cubo” è diviso in due aree, parzialmente sovrapposte: c’è l’inbound, ossia l’accoglienza delle merci che arrivano dai fornitori, e l’outbound. A decidere l’assortimento, dunque l’offerta di prodotti visibile sul sito, è un gruppo di 500 buyer, che opera a Milano. Qui arrivano i camion, scaricano le merci che vengono scansionate e in tempo reale diventano disponibili per l’acquisto. Sono oggetti non più grandi di un cesto, quelle fuori misura e fuori peso (sopra i 10 chili) finiscono in un altro stabilimento, a Vercelli. I materassi, per esempio, che sono tra gli articoli più venduti in Italia. Cesti gialli a centinaia vengono riempiti e messi sui nastri trasportatori, qui dentro ce ne sono venti chilometri. Gli storer, addetti allo stoccaggio, distribuiscono la merce nelle quattro pick tower, magazzini ad alta intensità, quattro piani di piattaforme, lunghe corsie di scaffali dove le merci sono depositate senza perdite di tempo, semplicemente dove c’è posto. Si ritroveranno grazie al codice a barre. «La necessità di spazio, con questo sistema, si riduce dal 60% rispetto a un magazzino ordinato per referenze», racconta Barbara Coronella, specialist Pr. L’unico criterio è che nello stesso scompartimento dello scaffale non ci siano oggetti confondibili, per esempio libri con copertina dal colore simile. Squadre di picker, guidati da un’applicazione e da coordinate binarie, operano contemporaneamente per prelevare la merce, riempire i cesti e avviarli all’impacchettamento, se si tratta di ordini singoli, o all’area degli ordini multipli. Possibilità di errore? Quasi zero. Anche perché ad ogni passaggio c’è una verifica. Non c’è nessuno che corre, ma certo il lavoro procede a ritmi alti. Dopo 4 ore c’è una pausa e dopo la pausa si può cambiar mansione. La job rotation assicura l’alternanza fra lavori dinamici, come spostare le merci, e statici, come l’imballaggio, che non devono superare le 24 ore settimanali. La soddisfazione dei lavoratori, secondo Amazon, è testimoniata dallo scarsissimo tasso di abbandono: era del 3,5% nel 2016, è sceso al 2,5 nel 2017. Le richieste di assunzione, invece, arrivano a migliaia. I dipendenti qui erano 150 quando il centro è stato aperto nel 2011, nel 2016 500 interinali sono diventati a tempo indeterminato, altri 300 hanno avuto il contratto nel 2017. Ora 1.600 hanno contratto stabile: la loro età media è di 35 anni e arrivano dalle province di Piacenza, Milano, Pavia, dal Lodigiano e perfino da Alessandria, collegata da un bus aziendale.
Dagli scaffali, dunque, la merce approda all’imballaggio o a all’assemblaggio, dove un complesso sistema di carrelli multipli consente di rimettere insieme i pezzi di un unico ordine. L’impacchettamento è rapidissimo, quasi ipnotico: gli addetti scelgono tra ventisette tipi di scatole diverse e chiudono pacchi in meno di dieci secondi. Sono tutti anonimi, ancora. L’etichetta con nome e indirizzo del cliente sarà aggiunta durante l’ultima verifica automatica, a garanzia della privacy. Intanto le scatole più pesanti proseguono la loro corsa sui nastri verso il sorter, mentre le confezioni più leggere volano letteralmente da un altro nastro verso alti scatoloni che attendono l’atterraggio delle merci, già suddivise per area di destinazione. Non c’è da sorprendersi se scolaresche, comitive di pensionati e studenti dell’università fanno la fila per visitare questo stabilimento ad altissimo tasso tecnologico. Dal pomeriggio alle undici di sera, tre “carichi” vengono chiusi e affidati ai camion verso i depositi di smistamento, o ai corrieri nazionali. Prima e dopo la fine del turno, i dipendenti affollano le aree comuni del centro, dove ci sono mensa, bar, spazi per il gioco, sale riunioni e dove si mantiene l’impostazione di una fabbrica ma con la declinazione della new economy: grandi lavagne per la comunicazione, concorsi, bacheche con ampio assortimento di convenzioni extra aziendali, arredi colorati e naturalmente un grande locker, come quelli che ormai stanno facendo la loro comparsa in tutte le città. Sono i depositi automatici, box di dimensioni variabili nei quali i corrieri possono lasciare i pacchi e il cliente può ritirarli, semplicemente passandoci davanti il cellulare. A Padova ce ne sono già dieci. Ed è verso Padova che, intorno alle 23, con l’ultimo cut-off, parte l’ultimo camion carico di merci. Lo aspettano a Vigonza, dove arriverà verso le due di notte. E da dove andrà via prima delle quattro, dopo aver scaricato tutti gli ordini giunti dall’area che parte da Vicenza, arriva a Treviso e, in basso, fino più o meno a Este.
Nel deposito di via Spagna, zona industriale di Peraga, gli uffici hanno già pianificato le rotte dei corrieri, per velocizzare l’ultimo miglio. E con l’arrivo degli ultimi camion, si intensifica l’attività nel magazzino, dove si raggruppano i pacchi in base al cap di destinazione e si riempiono sacche e carrelli. Quando il deposito è stato aperto, a metà ottobre, i dipendenti erano 15, più cinque interinali. Oggi sono 30, tutti della zona di Padova, età media 33 anni. Nei periodi di picco del lavoro (Black Friday, Natale, inizio delle scuole) arrivano i rinforzi interinali. «Ma tutta l’attività è pianificata sulla base di previsioni di lavoro», chiarisce il direttore Fabrizio Sarti. «Basta un weekend di pioggia, con la gente costretta in casa, per far aumentare gli acquisti». E però, a sentire le voci di Amazon, è leggenda il fatto che l’e-commerce sta uccidendo i negozi. «Negli Usa si fa sul web il 20% della spesa, in Italia solo il 6%», sottolinea Elena Cottini, Operations Pr manager. «E tanti negozi lavorano con noi, mettendo la loro offerta nel sito e con spedizioni autonome o affidandosi anche per la logistica. Oltre il 50% di quello che offriamo nel sito viene da venditori terzi. Solo così riusciamo a mantenere fede alla promessa di offrire tutto». Quanto alla velocità, a quella pensano i corrieri, che in meno di un’ora hanno liberato il magazzino e sono già in strada verso le consegne. Più in fretta di così, è difficile perfino immaginarlo.
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