Quando Mestre era la capitale del Beat

Un concerto e una mostra al Candiani, in un libro le foto storiche
Ci saranno quelli che ricordano davvero e quelli che ne hanno sentito parlare; quelli che c’erano e i nostalgici soltanto di un’idea. Più in generale quelli che amano la musica, e una città che quella musica ha saputo esprimere alla grande in quanto le assomigliava, giovane e impudente.


Sabato 7 marzo alle 21 al Centro Candiani si celebra la Mestre Beat: d’obbligo il concerto degli Uragani, la serata è un omaggio a loro, per i 45 anni dal primo contratto discografico che li consacrò al pubblico e alla critica. Ci sarà una mostra fotografica (vernice alle 20.30) e il volumetto «Mestre, gli anni beat 45» realizzato per l’occasione sarà consegnato a tutti i presenti. Per una serata così - biglietto 8 euro - basterà l’Auditorium del Candiani?


I Sessanta erano anni straordinari, di difficoltà e di speranza prima che di certezze; tutto era nuovo e la musica non poteva fare eccezione. Arrivavano a ritmo veloce i successi dei gruppi stranieri: due sue tutti, già allora dei totem, i Beatles e i Rolling Stones che chiedevano di stare dall’una o dall’altra parte. Dappertutto nascevano altri gruppi, che volevano imitarli e prendersi la fettina di storia che avanzava. Mestre visse questa stagione con un impeto irripetibile tra la fine del 1963 e l’inizio del 1964, con la nascita di decine di quelli che al tempo si chiamavano complessi, e suonavano dal vivo laddove oggi si direbbe live.


A tanta offerta di musica fu data prontamente casa; ecco nascere il Big Club ai Quattro Cantoni: era una sala da ballo e si chiamava Cristallo, quel po’ di esotico nel nome faceva sentire più vicini ai miti che stavano di là della Manica. Apriva un solo giorno la settimana, dalle 16.30 alle 20.30, l’ideale per i ragazzi e anche per le ragazze, che per le nove di sera erano di ritorno a casa. Per essere qualcuno, come pubblico, ci dovevi andare; per essere qualcuno, come gruppo, ci dovevi suonare. Ebbe l’arguzia e l’onore di ospitare il primo concorso mai ideato in Italia per soli complessi: si chiamava la Pennetta d’Oro e nel 1965 la vinsero Gli Uragani, volando dai Quattro Cantoni al Piper di Roma, cosa per la quale oggi non è possibile paragone. Tanto che Patty Pravo, nata su questa piazza, ancora oggi che sono passati quarant’anni, resta nel cuore di chi ne ha almeno altrettanti come la Ragazza del Piper, quella che di strada ne aveva fatta tanta.


Sono partiti da Mestre - e molti ci sono tornati, ma non importa - i Pipistrelli, Quarrymen, Phafer, Sagittari, Hopopi, Italo Gianni e un uomo speciale che se n’è andato troppo presto e che si chiamava Guido Toffoletti. Qui, nell’unica vera Liverpool italiana, sono nate le Orme.


Per rendere omaggio agli Uragani, domenica ci saranno un po’ tutti all’Auditorium del Candiani. A dimostrare che gli anni sono passati ma Mestre non ha perduto la sua anima beat, che la fa grande a dispetto di tutti quelli che qualche volta si divertono a chiamarla Terraferma.


E’ a quell’anima beat che si deve una città che oggi pullula di teatri, di locali, di iniziative e di un pubblico instancabile e curioso che quei teatri, quei locali e quelle iniziative riempie, riconosce e premia. In termini stretti, si chiama cultura; e quando si parla di questo, Mestre non teme paragone con nessuno.

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