Palude Venezia, la versione di Lotti: «Per i Pili stima di 150 milioni, ma noi volevamo una joint venture»
La versione del plenipotenziario del magnate di Singapore Chiat Kwong Ching:
«Ci avevano detto che il problema della proprietà sarebbe stato superato con il blind trust»
«Le cifre di cui si parlava per l’acquisto dell’area dei Pili erano 100-150 milioni: era la proprietà che indicava questi importi, ovvero Ceron e Donadini, confermati dal sindaco nell’incontro finale del dicembre 2017 a casa di Brugnaro, quando le parti rimasero ciascuna sulla sua posizione: Ching sosteneva la necessità di una joint venture mentre Brugnaro voleva che i terreni fossero acquistati dalla Oxley, senza essere coinvolto nella costruzione e vendita. Ching uscito dall’incontro mi disse che non se ne sarebbe fatto nulla».
Così dichiara Luis Lotti nell’interrogatorio davanti ai pm Baccaglini e Terzo, nell’ambito dell’inchiesta Palude: è l’uomo che cura gli affari del magnate di Singapore in Italia ed è (al momento) indagato con il sindaco e il suo staff, il finanziere e l’assessore Boraso di concorso in corruzione.
«Sindaco interventista»
«A Londra Ching aveva realizzato il Royal Wharf, quando era sindaco Boris Johnson», dichiara Lotti, «a Venezia le condizioni apparivano analoghe: un terreno industriale abbandonato ai bordi della laguna che si prestava ad un intervento ambizioso.
E anche in questo caso il sindaco era di piglio interventista, sollecito a rimuovere gli ostacoli e favorire gli investitori. Unica rilevante differenza: mentre a Londra i terreni erano di terzi, a Venezia appartenevano al sindaco, ma eravamo stati assicurati che il problema sarebbe stato superato con un blind trust».
Il primo incontro nel 2016
Sindaco-imprenditore e magnate si vedono per la prima volta nell’aprile del 2016, nell’incontro a Ca’ Farsetti-Casinò. Nei giorni prima si erano visti i rispettivi staff: «Ceron (capo di gabinetto, ndr) ci fece vedere le schede di due palazzi storici, dell’ospedale al mare e dell’area dei Pili. Quest’ultima ci sembrava interessante». Poi il vertice, dove il sindaco assicura a Ching che sui Pili potrà realizzare ciò che vuole.
Il «No» al progetto a Pesce
Un primo progetto “a pesce” redatto dall’architetto Pasqualetto non piace. E qui Lotti prende le distanze dall’imprenditore Claudio Vanin, prima affidabile riferimento per interventi in Italia, poi grande accusatore, indagato che ha dato il via con la sua denuncia all’inchiesta Palude: «Fu Vanin a coinvolgere l’architetto Tobia Scarpa, raddoppiando di fatto la volumetria, sul presupposto del raddoppio dell’indice di edificabilità. Iniziativa personale che non sposammo perché non c’era certezza che venisse adottata dal Comune».
La bozza di vendita: 150 milioni
La Procura mostra a Lotti la bozza di scrittura privata di vendita dei terreni ideata dal commercialista De March che Vanin gira a Donadini (vice capo di gabinetto, ndr) e poi a Lotti: «La risposta fu negativa perché non volevamo acquisire i terreni, ma coinvolgere la proprietà in una joint venture». Siamo a luglio 2017. «Quanto all’ipotesi di incremento degli indici di edificabilità da parte di Vanin, Donadini disse dipendeva dagli uffici comunali, non ha mai dato garanzie. Chiaro che sia Ching sia il venditore erano interessati (....) Donadini ci disse che potevamo progettare, ma avrebbe deciso il Consiglio».
2017: la cena a casa Brugnaro
Ching compra palazzo Donà, guarda ai Papadopoli: ma sono i Pili l’obiettivo delle parti. Brugnaro vuole vendere, Ching lavorare insieme. A dicembre la cena a casa Brugnaro. «Quella sera, Vanin espose i rendering di Scarpa.
Brugnaro non reagì bene e disse che gli pareva “troppo” speculativo e intensivo», prosegue Lotti, «Ching non si soffermò sul progetto perché Brugnaro ribadì che voleva vendere. Sul prezzo c'era stato detto da Donadini che il terreno (acquistato a 5 milioni, ndr) era stato rivalutato a bilancio dalla società proprietaria a 40-50 milioni. La richiesta di 150 milioni di euro era motivata dai valori di mercato, dalla locazione in una città prestigiosa come Venezia.
Ci disse che c’era l’intenzione del Comune di valorizzare l'intera area di Marghera: tutto le avrebbe dato maggior valore. Sulla variazione della destinazione, Donadini e Ceron ci avevano detto che c'era buona predisposizione, dato rassicurazioni ma non certezze, nei limiti della discrezionalità e legittimità dell'azione amministrativa». La cena finisce in un nulla.
salta tutto...ma non è la fine
Ma non è la fine: «Ching mi incaricò di trasmettere a Brugaro la sua posizione: fate quello che dovete fare, sistemate l’area dal punto di vista ambientale e fate un vostro progetto con i necessari adeguamenti urbanistici. A quel punto si valuterà o meno l’operazione edilizia sui Pili. Questo ho detto, credo a Donadini. La risposta di Ching era rivolta alla proprietà (l’imprenditore Brugnaro) e non al sindaco di Venezia. In che modo Brugnaro avrebbe poi regolato la questione urbanistica ed edilizia con l’amministrazione comunale da lui stesso rappresenta era questione che non ci interessava».
L’ultimo incontro nel 2018, a Firenze
Per due anni i Pili restano al centro. «Solo nel 2018 prendiamo atto del fatto che le questioni ambientali non potevano essere risolte né con il cordolo né con il sarcofago indicato come soluzione dal Donadini nel 2017».
Ma il tema resta. «Ho visto Brugnaro a Firenze nel 2018, venne nel mio studio», aggiunge Lotti, «rammaricato per gli attacchi avuti. Ci lasciammo senza chiudere le prospettive sui Pili. L’apertura di Ching verso l’operazione c’era sempre, soprattutto dopo il blind trust, ma la proprietà voleva vendere». Quanto al trust, per la Procura non era cieco, tra cene e incontri.
I rapporti con Boraso
Dell’ex assessore Boraso - accusato dalla Procura di 13 ipotesi di corruzione - Lotti dice poco: «L’incontrai nel 2018 e questi era molto negativo in merito all’investimento sui Pili, per gli ingenti costi di bonifica: Boraso parlò di 200 milioni».
La difesa
«Gli atti di indagine nuovi confermano la correttezza di comportamento del singor Ching», commenta l’avvocato Simone Zancani, dello Studio Simonetti, «nonostante le indagini siano proseguite per mesi oltre la scadenza del termine di legge e si sia giunti a produrre corrispondenza tra avvocato e cliente in violazione di diritti fondamentali, la Procura non ha potuto raccogliere alcun elemento che possa anche solo suggerire che il signor Ching abbia accettato di pagare alcunché al sindaco in cambio di modifiche urbanistiche ai Pili. Non è certo un reato aver cercato se fosse possibile realizzare una operazione importante».
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