Nuovo statuto, è l'ora dei tagli in Regione

Iniziata tra proposte fasulle e ipocrisia la maratona in Regione per il nuovo statuto
VENEZIA. Tutti pronti a ridurre il numero dei consiglieri e a tagliare i vitalizi, poi tutti a fermare nei corridoi i due ribelli, Raffaele Grazia e Pietrangelo Pettenò, susurrando: «Mi raccomando, tenete duro».


Anche i leghisti. Soprattutto i leghisti, che pure nell'incontro di gruppo con Luca Zaia avevano alzato la mano come un sol uomo per approvare il dimezzamento dell'assemblea, da 60 a 30. Davanti al capo tutti d'accordo. Alle sue spalle, chi ce lo fa fare? Naturalmente strizzano l'occhio ai due reprobi i consiglieri del Pdl: «Resistete, siamo nelle vostre mani». Alla faccia del capogruppo Bond, sempre meno James, che in aula dice: «Sul numero bisogna trovare la quadra, siamo pronti a trattare senza preclusioni, tutto il Pdl è su questa linea». Ma quale linea, morbida o dura, hard o soft?


C'è malumore anche nel Pd: la linea del capogruppo Laura Puppato e del numero due Sergio Reolon, che hanno incassato la riduzione a 50 consiglieri e stavano per accettare pure l'introduzione della fiducia voluta da Zaia, ha seminato scontento. «Per fortuna che c'eravate voi», vanno a dire a Grazia e a Pettenò, che hanno lavorato per mandarla in soffitta.


Questo raccontano i corridoi di Palazzo Ferro Fini, nel primo giorno del dibattito in aula sul nuovo statuto. Una faccenda che va avanti da 11 anni. Era l'ottobre 2000 quando Giancarlo Galan presentava trionfalmente la prima bozza, poi recepita dalla commissione Tesserin in un testo, naufragato in aula nell'ottobre 2004. Cinque anni dopo, ottobre 2009, il secondo naufragio, ma è meglio dire spiaggiamento telecomandato da Francesco Piccolo, agli ordini di Galan che puntava alla rielezione-quater e non voleva sgambetti da una nuova legge elettorale.


Siamo al terzo tentativo e sembra che il tempo si sia fermato: la commissione è di nuovo presieduta da Carlo Alberto Tesserin e il testo approda in aula senza rete, esattamente come avvenne nell'autunno 2004, quando ad impallinarlo furono la Lega agli ordini di Flavio Tosi e Rc al comando di Severino Galante. Ma almeno all'epoca si sapeva che l'approdo in aula avveniva con i punti irrisolti del popolo veneto e della resistenza. Stavolta tutte le certezze raggiunte in commissione sui nodi strutturali (popolo veneto, numero dei consiglieri, autonomia di Belluno, ruolo delle Province, area metropolitana, per citarne alcuni) sono sfumate. In aula si parte da zero. Hanno un bel dire gli ottimisti che in ogni caso in aula si ripartiva da zero. Claro che sì, ma non senza rete. Non vorremmo portare jella ma le premesse per il fallimento numero 3 abbondano.


Anche perché c'è in giro una voglia concentrica di farla pagare alla Lega. E al populismo del suo capo Luca Zaia. Perfino un gran sacerdote della politica del secolo scorso, Nereo Laroni, per l'occasione in versione western, ha mirato al presidente: «Quando si spara un colpo in aria e si dice +1, nel nostro caso -30, si compie un'azione miope, si obbedisce a interessi di parte ma si distrugge il perimetro comune. Adesso mi pare che ci sia stato un ravvedimento, ma intanto i pozzi sono stati avvelenati. Dobbiamo impegnare questo dibattito per recuperare una mediazione e salvaguardare il patrimonio di tutte le forze politiche».


Na parola, dotto'. Grazia e Pettenò, Udc e Rc, sono decisi a vendere cara la pelle, perché nella riduzione dei consiglieri rischiano di scomparire. Sfrutteranno l'ostruzionismo per portare le chiacchiere al vedo. Zaia vuole tagliare i costi della politica? Pettenò propone di abbassare lo stipendio dei consiglieri a 3000 euro al mese: «Vediamo chi lo vota».


Grazia non è da meno: «Vogliono portare il numero dei consiglieri a 50? A noi Udc stanno bene anche 48. Ma allora cambia la legge elettorale: proporzionale puro, senza elezione diretta del presidente. Il presidente lo eleggiamo noi in aula». Zaia si metterà di traverso. «Anche noi, abbiamo pronti 200 emendamenti». Oggi la presentazione ufficiale in aula.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia