«Non ha voluto il rintocco di campane»
VENEZIA. «Il ricordo di Venezia m'è sempre caro». Lo scorso 25 aprile, nella messa per celebrare San Marco, aveva voluto rafforzare il suo legame con la città con un breve messaggio letto in Basilica dal patriarca Francesco Moraglia.
La comunità è in lutto per la morte di Loris Capovilla il cui legame con Venezia risale a quando ventenne, cominciò a frequentare il Seminario patriarcale. Ordinato presbitero il 23 maggio del 1940 coprì, tra gli incarichi forse meno noti, il ruolo di cappellano a Porto Marghera e di cappellano del carcere minorile e all’Ospedale degli infettivi. Per dieci anni, dal 1953 al 1963, è stato il segretario particolare di Angelo Giuseppe Roncalli, prima patriarca di Venezia e poi dal 28 ottobre del 1958, Pontefice.
Il ricordo del patriarca Moraglia: «In questo momento la Chiesa che è in Venezia esprime soprattutto il suo grazie al Signore per il dono grande di questo sacerdote che ha fatto della sua vita un dialogo fraterno, sereno, intelligente con ogni persona che il Signore poneva sulla sua strada, guardando sempre a ciò che univa e tralasciando ciò che, in qualche modo, poteva dividere», dice Moraglia, «anche il cammino ecumenico, per lui, fu espressione di un intimo modo di guardare le persone, la fede e la storia della Chiesa. Don Loris, come amava essere chiamato, manifestava una fede bella, ricca, sorridente, desiderosa di dire Gesù con la semplicità del Vangelo e nello stile dell’indimenticato Patriarca Roncalli, san Giovanni XXIII, di cui fu fedele segretario per oltre dieci anni prima a Venezia e poi a Roma».
Capovilla è morto lo stesso giorno in cui, 94 anni fa, moriva suo padre di cui il cardinale, allora bambino, portava un indelebile ricordo. «Ho parlato con il Patriarca e con il suo amico Bruno Forte. Lui ha lasciato scritto nel testamento la richiesta di un funerale semplice. Viveva in tre stanze con un bagnetto a Sotto il Monte e sarà sepolto a Fontanella, vicino alla tomba dell’amico padre David Turoldo. Spesso loro due si ritrovavano a conversare la sera».
Un funerale semplice era la volontà di Loris Capovilla, ricorda il nipote Gianfranco Vecchiato. «La disposizione testamentaria è di un funerale semplice. Viene da una famiglia in cui la semplicità era la regola. Il Patriarca mi ha detto che è usanza che quando muore un canonico si suonano le campane a San Marco ma io ho spiegato che lui non lo avrebbe voluto questo. E allora il Patriarca ha detto che si limiteranno a una messa».
Nelle parole dell’architetto, ex assessore all’Urbanistica nell’ultima giunta Cacciari, si racconta il Capovilla privato, legatissimo a Venezia. «Parlavamo sempre in dialetto tra noi. Lui per me non era il grande cardinale, era mio zio», ricorda. «Negli ultimi tempi mi telefonava tutti i giorni. Il nostro non era un rapporto distante. C’era una forte vicinanza, con telefonate e lettere». E la morte sopraggiunta il 26 maggio, ricorda il nipote, è una strana coincidenza: lo stesso giorno era morto il padre. «Suo padre è morto il 26 maggio 1922, quando aveva sei anni e mia mamma due», racconta Vecchiato. «Nei giorni scorsi, quando sono andato a trovarlo spesso, mi è capitato di dirgli: “Vedrai, tuo padre ti dirà un giorno. “Pucci, sono tanti anni che ti aspettavo”. Per Vecchiato, Capovilla «è stato un uomo straordinario, ha lasciato montagne di documenti e lettere da studiare. È stato protagonista con Giovanni XXIII delle vicende conciliari, di una Chiesa capace di aprirsi ai tempi nuovi».
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