Non c’è pace per Belcaro

Il figlio della stilista: nell’inchiesta bis foto hot e visite in siti pedopornografici
PADOVA. Oltre a un’infinità di foto e video hot che immortalano aspiranti modelle completamente nude in pose inequivocabili e più di qualcuna con la sua mano nelle parti intime, spuntano anche navigazioni in siti pedopornografici tra il materiale informatico al centro della nuova inchiesta che ha per protagonista Mauro Belcaro, il 36enne veneziano fashion designer, fondatore del marchio Doc (un portale legato al mondo della moda e dello spettacolo), figlio della più nota stilista Rosy Garbo con atelier nel cuore di Padova in via San Fermo. E i guai giudiziari del giovane imprenditore – cruccio e preoccupazione di mamma Rosy – rischiano di aggravarsi tanto da finire, almeno per questo troncone d’indagine, alla procura distrettuale antimafia di Venezia competente a occuparsi di reati legati alla pedopornografia e alla rete.


Il 21 luglio 2016 il rampollo della stilista (nota per la creazione di abiti da sposa-gioiello) è condannato a un anno e sei mesi di carcere (con la sospensione condizionale della pena) per violenza sessuale nei confronti di un'aspirante modella, una studentessa universitaria vicentina 22enne (all'epoca dei fatti risalenti al gennaio 2014), decisa a tentare la carta professionale della passerella. La ragazza aveva denunciato Belcaro, “colpevole” di averla toccata nelle parti intime dopo l'invito a spogliarsi con la giustificazione di valutare «postura e muscolatura» durante un provino nell’atelier padovano. Lui nega. Si difende. Anzi, rilancia: tutte bugie. Poi, invece di affrontare il processo, sceglie il rito alternativo che, in caso di condanna, impone per legge la riduzione di un terzo della pena. E, prima ancora di finire davanti al giudice, risarcisce in via stragiudiziale la vittima con 30 mila euro, per sbarazzarsi del peso di un’ingombrante parte civile. Una disavventura da dimenticare. Chiuso il conto con la giustizia, com’è nel suo diritto Belcaro reclama la restituzione del materiale che gli era stato sequestrato (pc e supporti informatici). E lo ottiene. Tuttavia lo scorso autunno fiocca una nuova querela, firmata da una ventenne residente nell'hinterland della città del Santo e presentata ai carabinieri di Prato della Valle guidati dal luogotenente Giancarlo Merli. Anche lei era un’aspirante modella. Anche lei s’era presentata per il solito provino nel solito atelier. E s’era pure ritrovata, tra le gambe, le mani di Belcaro. Il pm padovano Roberto Piccione apre una seconda inchiesta per violenza sessuale e il 28 dicembre sono perquisite l'abitazione del 36enne a Pegolotte di Cona (nel Veneziano) dove vive e l'atelier di Padova. Sequestrati file, video e pc, gli stessi che erano stati restituiti da poco più di un mese. E mentre i carabinieri indagano, gli accertamenti sono affidati al tecnico informatico Luigi Nicotera (consulente del team della difesa di Massimo Bossetti, l'assassino di Yara Gambirasio). Così tra le 530 mila immagini conservate (molte relative a casting e sfilate) spuntano i provini in nudo integrale (in video o foto scattate con una macchina fotografica che, pare, non sarebbe stata trovata dai militari) e tracce chiare di navigazioni e visite nei siti pedopornografici fin dal 2014, nonostante il computer sia stato accuratamente ripulito. Ma non sarebbe servito perché sono venute alla luce le schermate di quelle pagine relative a siti (alcuni bloccati dalla polizia postale) di cui non era emerso alcun riscontro durante la prima inchiesta.
(cri.gen.)




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