Megaporto, la conca è da ingrandire

Il piano consegnato dal presidente Costa alla commissione del Senato. Chieste modifiche al Mose per far transitare navi fino a 400 metri
Il megaporto in laguna prende forma. E’ scritto in un decalogo consegnato l’altro giorno ai senatori della commissione Infrastrutture il progetto che Autorità portuale e alcune forze politiche hanno immaginato per la laguna del terzo Millennio. Il canale dalla bocca di Malamocco a San Leonardo dovrebbe essere scavato fino alla quota di meno 14,50, quasi due metri più del livello attuale. La conca di navigazione in costruzione a Malamocco dovrà essere modificata: fondali da scavare fino a 15 metri e mezzo e bacino più lungo per farci transitare navi lunghe fino a 400 metri.


E poi il grande terminal off shore per le petroliere. «Questo consentirà di liberare dall’attività petrolifera l’attuale terminal di San Leonardo», ha detto il presidente del Porto Paolo Costa, «per svolgere in un futuro prossimo attività di allibo per navi oceaniche». San Leonardo è infatti area strategica, vicina alla bocca di Malamocco e raggiungibile con un canale che si vuole scavato a -14,5. La proposta fatta ieri da Costa si sposa perfettamente con il piano presentato un mese fa dallo stato maggiore del Pdl in apertura di campagna elettorale. Un nuovo megaporto commerciale a San Leonardom, con l’interramento di barene e parti di laguna, edifici in gronda lagunare e una sublagunare da Chioggia a Tessera. Megaprogetti che fanno rabbrividire gli ambientalisti. E riaccendono la protesta. «E’ l’esatto contrario di quanto si va predicando da trent’anni a questa parte», dice Stefano Boato, docente Iuav e rappresentante del ministero dell’Ambiente in commissione di Salvaguardia, «scavando i canali i volumi d’acqua scambiati aumentano. Il dissesto della laguna non si ferma e non si combattono le acque alte». Ma il porto e l’industria vedono nel Mose non già un ostacolo all’attività dello scalo veneziano, ma un’occasione per fare le cose in grande.


Ecco allora nel documento illustrato ai senatori rispuntare anche il progetto del terminale petrolifero off shore. Previsto dalla legge Speciale del 1973 ma mai attuato. L’ultimo progetto, presentato alla Salvaguardia lo scorso anno, è stato per ora accantonato perché ritenuto «poco sicuro» per l’accosto delle navi in mare aperto. «Molto meglio le boa galleggianti», «suggerisce l’ingegnere Luigi Di Tella, ideatore di un sistema alternativo al Mose, le paratoie a gravità, sostenuto dal Comune e scartato dal governo, «che si possono anche affittare dalle aziende che li fanno nel mare del Nord, a costi relativamente bassi». Nel documento si parla anche di «riconversione di Marghera», con una «espansione delle aree destinate a terminal e la realizzazione di un District park di scala almeno nazionale». Questo, messo insieme «all’evoluzione in corso delle dimensioni delle navi e ai riflessi sull’intera economia veneziana» giustifica, secondo Costa, i lavori per modificare la conca di navigazione che il Consorzio Venezia Nuova ha già quasi ultimato a Malamocco.


«Mi pare che siamo alla follìa, la conca era stata scartata dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici nel 1994, non era nel progetto che è stato esaminato dal ministero dell’Ambiente», dice Andreina Zitelli, docente Iuav e componente della commissione Via che bocciò il progetto del Mose nel 1998, «è stata poi reinserita con un ordine del giorno del Comune durante la giunta Costa. Adesso la vogliono ingrandire scavando i canali. Gli effetti di tutti questi interventi sulla laguna saranno devastanti». Ma le proposte camminano. E il partito della tutela ambientale è per ora in minoranza.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia