Marco Müller «Il cinema italiano stavolta da premio»
«Bellissimi film bravissimi attori Wim Wenders non potrà proprio ignorarli»

«Sono certo che nell’anno in cui Cannes ha premiato i film di Garrone e Sorrentino, anche da Venezia il cinema italiano uscirà con un importante riconoscimento. Ho fiducia nei quattro film selezionati e nel giudizio della giuria presieduta da Wim Wenders, che non può dimenticarsi di essere presidente dell’Accademia Europea di Cinema. Oltretutto, i film italiani in concorso hanno attori bravissimi e almeno per la Coppa Volpi dovranno certamente essere presi in considerazione».
E’ un Marco Müller decisamente sbilanciato - al primo anno del suo secondo mandato quadriennale che ne farà il direttore più longevo della storia della Mostra del Cinema - sul successo del cinema italiano alla 65ª edizione del Festival, alla vigilia di una manifestazione difficile, perché nel pieno della crisi economica del Paese e perché, questa volta, per scelta e per necessità, ha deciso di puntare molto più sulle cinematografie “altre“ e emergenti, piuttosto che sulla consueta calata hollywoodiana in laguna, che pure non mancherà, ma con l’occhio acceso soprattutto sul cinema indipendente, a cominciare dai fratelli Coen.
Dopo anni di successi per il Festival targato Müller, ma con il cinema italiano sempre penalizzato dalle giurie, questo sembra dunque, per amore o per forza, l’anno della svolta.
Müller, quest’anno si ha l’impressione che, forte dei recenti successi, lei abbia “costruito” una Mostra molto autoriale, ricca di opere prime e di nuove cinematografie e meno legata al cinema americano.
«Con la commissione selezionatrice, abbiamo preso i film che volevamo. Abbiamo rifiutato diversi film americani, spettacolari ma noiosi e non abbiamo potuto selezionarne altri che non erano pronti, come quelli di Jarmush e Van Sant, o come il nuovo film di Terry Gillian, che ci avrebbe consentito di mostrare l’ultima interpretazione di Heath Ledger prima della sua scomparsa; o, ancora, come The Spirit di Frank Miller. Ma quelli che erano pronti e ci interessavano, ci sono tutti, compresi quelli di Kathryn Bigelow sull’Iraq e di Aronofsky, pur “maltrattato” in precedenza al Festival per The fountain».
«Burn after reading» dei Coen - che apre stasera la Mostra, sarà all’altezza di
Non è un paese per vecchi, con cui hanno vinto l’Oscar?
«E’ un altro tipo di film, un ritorno alla commedia, con una beffarda satira sulla Cia, che completa, tra l’altro, per George Clooney, la trilogia dell’idiota sotto l’egida dei Coen, dopo Fratello, dove sei? e Prima ti sposo, poi ti rovino. Un film, che, tra l’altro, rivelerà lo straordinario talento comico di Brad Pitt».
Quattro film italiani in concorso sono un evento, visto che oltretutto in questi anni da Venezia il nostro cinema non è mai uscito molto bene. Qualcuno ha sottolineato questo “nazionalismo”.
«Lo meritavano tutti, a cominciare da quello di Avati, che arriva, con Il papà di Giovanna a un punto di svolta della sua carriera, che si è spesso intersecata con Venezia. Ma anche Un giorno perfetto apre una nuova fase creativa di Ferzan Ozpetek, mentre il film di Marco Bechis è un esempio di cinema nomade che guarda fuori di sé - in questo caso agli indigeni dell’Amazzonia - per capire meglio le proprie contraddizioni, Infine, il film di Pappi Corsicato è una soap-opera napoletana che “rilegge” addirittura la Marquise d’O di von Kleist, certo in un modo molto diverso da quello di Rohmer. E’ una selezione molto qualificata, che non potrà essere ignorata dalla giuria».
Cosa si aspetta da Wenders e soci?
«Giudizi mai banali e scontati, in un Festival che, forse per la prima volta, non presenta film favoriti o dove sono molti quelli che possono aspirare al Leone d’Oro. C’è molta scelta e molta varietà, ma non dimentichiamo che Wenders, da presidente della giuria a Cannes, è quello che fece assegnare la Palma d’Oro a Sesso, bugie e videotapes di Steven Soderbergh, segnando l’avvento di un nuovo grande regista e di un nuovo tipo di cinema».
La Mostra quest’anno arriva in un momento di forte crisi economica per il Paese. Ne pagherà, in qualche misura, il prezzo?
«Non sul piano organizzativo, grazie anche al lavoro svolto negli anni scorsi e al credito ottenuto, ma certo Venezia è una Mostra molto cara, e questo peserà inevitabilmente sulle presenze, specie per quello che riguarda il cinema indipendente che noi vogliamo mettere allo stesso piano di quello delle majors, ma che certo andrebbe più aiutato, non avendone ne possibilità economica».
E la Biennale cosa può fare?
«Puntare maggiormente sui giovani, come è anche intenzione del nuovo presidente Paolo Baratta, che sta predisponendo un progetto a questo scopo. Abbiamo bisogno di tanti giovani al festival, del loro passaparola, che poi è quello che determina anche il successo dei film meno reclamizzati. Ma certo, se non si creano le strutture per ospitarli, a prezzi contenuti, è difficile. Ancora di più se poi, in Italia, il sistema di produzione e distribuzione impedisce l’uscita di film straordinari come Redacted di Brian De Palma, premiato lo scorso anno a Venezia».
Ha anche annunciato: «basta con la serata di inaugurazione e premiazione in stile commedia all’italiana». Cosa cambierà?
«Che saranno molto più sobrie e misurate e stasera, per l’apertura, presenteremo anche una videocommedia di sette minuti girata per noi da Manoel de Oliveira che è un inno contro l’uso dei telefonini e dei loro continui squilli che ci impediscono di pensare e comunicare».
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