Maniero, investimenti nel vetro di Murano

Le motivazioni della sentenza Di Cicco: il gup Vicinanza scrive di grosse somme spese dall’ex boss e andate perdute

VENEZIA

Enormi somme di denaro investite (in modo rivelatosi poi fallimentare) da Felice Maniero nei vetri di Murano. Oltre che nella già nota attività della depurazione dell’acqua. La rivelazione choc è di Riccardo Di Cicco, l’odontoiatra ex cognato di “Faccia d’Angelo”, arrestato a gennaio 2017 nell’inchiesta per il riciclaggio del tesoro di Maniero, e la riporta il gup di Venezia Massimo Vicinanza nelle motivazioni della sentenza con cui l’ex cognato (ora ai domiciliari) è stato condannato a 4 anni e 10 mesi in abbreviato per riciclaggio.

«Secondo Di Cicco, Maniero aveva prosciugato i conti per aver impiegato enormi somme di denaro in attività commerciali rivelatesi fallimentari, prima nel settore dei vetri di Murano, poi nel settore della depurazione dell’acqua», scrive il gup parlando degli 11 miliardi di vecchie lire che l’ex cognato ha ammesso di aver ricevuto nel 1995 da Felicetto, avendoli riciclati in conti svizzeri e poi restituiti a Maniero. Ai pm veneziani, l’ex boss aveva raccontato di aver dato a Di Cicco 33 miliardi di lire, proventi dell’attività della Mala, avendone avuti indietro solo 6-7. Maniero, secondo il giudice, denuncia l’ex cognato – unitamente al broker Michele Brotini, ora a processo – «mosso da rivalsa», per «punire chi riteneva reo di non aver rispettato un patto (illecito)».

Per il gup non c’è la prova del riciclo di tutti i 33 miliardi, ma è certo che «Di Cicco era per Maniero il porto sicuro dove depositare il denaro provento degli illeciti per ripulirlo», così agevolando «sia chi era al vertice dell’associazione, sia l’associazione stessa». Di qui il riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Con i soldi di Maniero, il dentista «ha potuto mantenere un tenore di vita molto elevato, da milionario».

A partire dalla villa di Poggio Adorno a Santa Croce sull’Arno (Pisa), acquistata da Di Cicco nel 1989 per 160 milioni di lire in contanti e poi restaurata. «Merito del mio lavoro in nero», aveva sostenuto Di Cicco, difeso dall’avvocato Giulio Venturi. Ma per il giudice, la sproporzione tra le finanze di Di Cicco all’epoca e il valore dell’investimento è la prova della provenienza illecita del denaro. Il reato tuttavia è prescritto: sono trascorsi più dei 18 anni previsti dal codice. Impossibile, invece, traslare il ragionamento per l’acquisto (più recente) delle ville di Marina di Pietrasanta e Fucecchio, sempre in Toscana, e delle auto. Le dichiarazioni di Maniero in questo frangente sono «poco precise e puntuali». Di qui l’assoluzione.

Quanto agli 11 miliardi in Svizzera, il giudice svela come le retrocessioni a Maniero avvenissero tramite il «soggetto giuridico Silvoro S.A., di cui ancora oggi nulla si sa». Il riciclaggio, iniziato nel 1995, è provato fino al 2009-2010, quindi non è prescritto. Cancellato dal tempo trascorso lo stesso reato contestato a Noretta Maniero, sorella di Felice ed ex moglie di Di Cicco, che si è occupata di ricevere e mettere al sicuro il denaro di Felicetto fino al febbraio 1996. Oltre alle confische di beni di Di Cicco e di alcuni familiari, il giudice ha disposto i sigilli su 2 milioni di euro di Maniero, valutando le cifra come prodotto del riciclaggio che gli è stato restituito: «Non può considerarsi estraneo al reato». —



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