L'ultimo imperatore sul trono della moda siede un perfezionista
Il Valentino Day esordisce stamattina con la proiezione del documentario di Matt Tyrnauer Valentino: The Last Emperor nell’ambito della rassegna «Orizzonti Eventi», alle 11 in Sala Grande, preceduta da una prima passerella dei due protagonisti Valentino Garavani e il socio storico Giancarlo Giammetti (che si preannunciano entrambi in gran forma dopo un apposito soggiorno nella beauty-farm di Chenot a Merano).
Tyrnauer, giornalista di Vanity Fair, ha realizzato il suo reportage viaggiando al seguito dello stilista per un paio di anni, armato di videocamera digitale: le riprese, inframmezzate da filmati d’epoca commentati dal couturier, ripercorrono le fasi salienti della sua carriera come in una sorta di biografia autorizzata. Più sfavillante ed affollata la passerella di stasera al Teatro La Fenice, dove la pellicola verrà nuovamente proiettata per un pubblico più selezionato e mondano, in vena di dar corpo ad un evento tra mondo della moda e spettacolo. A seguire, il blindatissimo ricevimento offerto a 350 «happy fews» da Vanity Fair Italia e Vogue Italia»nella sede del museo Guggenheim a Palazzo Venier Dei Leoni sul Canal Grande.
di Yamina Oudai Celso
«Da piccolo non mi piacevano i maglioni che mi compravano e c’era una signora che ne faceva di bellissimi a mano. Convinsi mia madre a farmeli fare lì, così potevo anche scegliere il colore. Mia madre sfortunatamente acconsentì». Come ogni vicenda umana, anche la leggenda dell’ultimo imperatore della moda, al secolo Valentino Clemente Ludovico Garavani, comincia dall’infanzia. Un bambino esigente, innamorato del bello, così precocemente perfezionista da preoccuparsi perfino di poter consumare i pasti nelle sue stoviglie preferite. «Ma da dov’è uscito quello lì?», non poteva fare a meno di domandarsi mamma Teresa, in quel di Voghera, che alla fama delle sue casalinghe archetipiche aggiunge l’orgoglio di aver dato i natali all’ormai 77enne divo della couture mondiale. Quarantacinque anni di onorata carriera, lastricata di successi e riconoscimenti fin dagli esordi, tra la Parigi dell’apprendistato nell’atelier di Guy Laroche e la Roma degli anni ’60, dove proprio la scorsa estate si è fastosamente celebrato, con fuochi d’artificio e mostra all’Ara Pacis, il congedo dello stilista dal suo marchio, oggi affidato alla direzione creativa della giovane Alessandra Facchinetti.
Un impero economicamente consolidato dal talento imprenditoriale del socio ed ex-compagno Giancarlo Giammetti, che Valentino ha ripetutamente ringraziato per avergli consentito di coltivare la sua creatività lavorando «su una nuvola, senza preoccupazioni pratiche».
Ma se la griffe è stata ceduta, il personaggio, con i suoi sei carlini, l’abbronzatura perenne e la pettinatura granitica, grazie alla sua notorietà planetaria sembra quasi vivere una seconda giovinezza, parodiato da anni in patria dall’imitatore/clone televisivo Dario Ballantini, e immortalato oltreoceano dal cinema, nel ruolo di se stesso, già due anni fa, proprio qui alla mostra del cinema, con la glamourosissima pellicola Il diavolo veste Prada.
E il segreto dell’intramontabile stile, essenziale ma non austero, sontuoso ma mai eccentrico che ha proiettato Valentino nell’Olimpo della moda, sembra legato, come spesso accade, ad un tratto caratteriale fortemente improntato al rigore, alla disciplina individuale e, forse, a un filo di nevrosi: «Essere tanto selettivo mi fa venire il mal di testa - ha confessato lo stilista a El Pais - Voglio vedere la perfezione e la bellezza in tutto, e se non la trovo non mi sento a mio agio. Sono una persona molto complicata. E ne soffro! Ammiro le persone che stanno bene ovunque, le persone non sofisticate che non soffrono se in un hotel trovano delle brutte lenzuola».
Sarà per questo che - come egli stesso ha raccontato a Vanity Fair - nelle sue lussuosissime magioni uno stuolo di zelanti domestici si preoccupa di stirare ripetutamente le lenzuola affinché non siano mai stropicciate. E da professionista dell’immagine, lui, il pigmalione sartoriale di muse leggendarie quali Grace di Monaco, Audrey Hepburn o Jacqueline Kennedy, a chi gli domanda un’opinione sul look della nuova première dame Carla Bruni, può permettersi di rispondere sornione: «E’ molto difficile per una donna così bella trovare un proprio stile».
Ma di se stesso ha dichiarato con modestia: «Ci sono solo tre cose che so fare: fare un vestito, decorare una casa e ricevere ospiti». Forse è il saperle fare meglio di chiunque che ha creato un mito.
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