Luigi D’Alpaos «Si è costruito troppo e pianificato male»
L’ingegnere analizza gli effetti degli eventi atmosferici «Una grossa responsabilità ricade sull’uomo»
Una nuova frana provocata dalle intense piogge di queste ore ha bloccato la statale 51 di Alemagna in località Acquabona, alle porte di Cortina. Il fronte di terra e sassi caduto, secondo le segnalazioni dei vigili del fuoco, è di circa 30 metri..ANSA/VIGILI DEL FUOCO ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING
BELLUNO. Si è costruito troppo, e male. Le case, ma anche le infrastrutture, sono state inserite in un contesto delicato, e ad ogni frana vengono travolte dai sassi e dal fango. Il clima è cambiato, e gli effetti sulla fragile montagna bellunese si vedono ad ogni temporale violento. Lo si è visto a Cortina, pochi giorni fa, ma è ancora fresca la memoria degli eventi di San Vito, occorsi due anni fa. «Io non posso dare un giudizio sui cambiamenti climatici, ma sugli effetti che producono sul territorio mi pongo una semplice domanda: cosa ha fatto l’uomo per far sì che gli effetti siano quelli che ormai, tristemente, conosciamo?».
Se lo chiede Luigi D’Alpaos, ingegnere e docente emerito di idraulica all’università di Padova. «Quello che stiamo vivendo dimostra che ci sono stati dei cambiamenti climatici rispetto a un passato anche recente, ma dobbiamo avere il coraggio di dire che c’è una grossa responsabilità dell’uomo su quello cui stiamo assistendo».
Parla dei cambiamenti climatici?
«No, di pianificazione del territorio. Abbiamo pianificato male, anzi peggio. Se avessimo commesso un errore una volta, non saremmo in questa situazione. Non parlo solo della villetta costruita in un posto sbagliato, ma di interi borghi, di strade, inserite in contesti delicati. Si è pensato troppo poco ai problemi di carattere idraulico di questo territorio, che ne ha moltissimi. Come mai quando abbiamo edificato non abbiamo prestato attenzione al fatto che su quel territorio potevano verificarsi fatti impulsivi, come quelli che vediamo in questi anni? Come mai non ci siamo comportati con la dovuta saggezza e prudenza e abbiamo invaso tutto quello che potevamo, senza preoccuparci di quello che sarebbe potuto capitare?».
Però ora è tardi: le case sono state costruite, le strade anche. Cosa si può fare di fronte a fenomeni atmosferici sempre più violenti?
«Adesso bisognerebbe avere il coraggio di delocalizzare, di fronte a certe situazioni. Penso alla frana di Cancia: piuttosto che spendere milioni di euro a salvaguardia di alcune abitazioni, sarebbe opportuno delocalizzarle secondo me. Ma tutto tace. Eventi come quelli che stanno colpendo la provincia di Belluno devono far nascere una seria riflessione da parte di chi ha, e ha avuto, responsabilità nella programmazione del territorio, sia a livello tecnico che politico. Chi ha dato le autorizzazioni per costruire in una determinata zona? Chi ha perseguito una certa politica di occupazione del territorio? È giunta l’ora di cambiare passo, di pianificare in maniera diversa e di trovare una soluzione a quello che è già stato fatto».
Fattibile per le case, ma per le strade? Non sarebbe un problema pensare di spostarle?
«E chi l’ha creato questo problema? La viabilità principale di una provincia dovrebbe essere sempre percorribile, quindi deve essere insediata assolutamente in vie e spazi non vulnerabili. Pensiamo all’Alemagna: il vecchio tracciato non era male, abbiamo fatto peggio con le varianti realizzate successivamente».
Insomma, si è costruito troppo e si è pianificato male.
«Il cambiamento climatico non deve diventare una scusa per non affrontare i problemi. Il comportamento dell’uomo non deve passare in secondo piano, anche perché questo si può correggere, contro i cambiamenti climatici possiamo fare meno».
Una conseguenza di questi cambiamenti sono gli eventi atmosferici estremi. Come si possono fronteggiare, in un territorio come il nostro?
«I fenomeni intensi sono destinati a presentarsi con una frequenza sempre maggiore. Quindi in montagna devono essere fatte opere di prevenzione pensando proprio a questa situazione. L’idraulica in montagna deve essere idraulica dei fatti impulsivi. Poi il fatto che si incrementino questi fenomeni rende anche difficile vivere in montagna».
Arriverà il momento in cui non si potrà più vivere in montagna?
«No, ma bisogna capire che in certe zone non ci si insedia e bisognerà scegliere in modo oculato dove farlo. Guardiamo la Valle del Boite: c’è un punto, da Cancia in su, in cui non si sia mossa una colata detritica? Guardiamo Cortina dall’alto. La Conca è stata completamente edificata, ci sono case dappertutto. Era proprio questo il modo di occupare quel territorio? Non voglio dare la responsabilità solo a chi è venuto prima di noi, perché noi non abbiamo certo imparato la lezione».
Diminuiranno le precipitazioni a carattere nevoso. Sarà un problema per il futuro?
«Direi che i bellunesi non dovrebbero temere la scarsità di risorsa idrica, qualcun altro dovrebbe in Veneto (chi pratica agricoltura in pianura,
ndr
). Ma se andiamo a vedere come sono state sfruttate le risorse idriche, anche in questo caso non c’è stato un comportamento attento e prudente».
Parliamo delle concessioni, per usi irrigui e idroelettrici?
«Sono state date oltre ogni limite. Lo dico da sempre e lo ribadisco: è necessario rivedere lo schema delle concessioni. Se è stata data una risorse che non c’è, o non c’è mai stata, è opportuno riesaminare i criteri in base ai quali è stata concessa».
Immagino si riferisca al Vajont.
«Quando il bacino artificiale era in costruzione, vennero assentiti incrementi di derivazione dal Piave, come se i 150 milioni di metri cubi di acqua che la diga avrebbe dovuto trattenere fossero disponibili. Non c’erano, ma è stata concessa la possibilità di usarli. Quel serbatoio non esiste nello schema di utilizzo delle acque del Piave. In un Paese normale si sarebbe tornati indietro sulle concessioni date in modo poco accorto».
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