L’intelligenza artificiale per fermare nuove pandemie: «Così preveniamo il rischio spillover»

Il progetto di Izsve e Vimm: «Individuiamo i virus che possono passare dall’animale all’uomo e ne testiamo gli effetti»
Simonetta Zanetti
Antonia Ricci, direttrice generale dell’istituto zooprofilattico delle venezie
Antonia Ricci, direttrice generale dell’istituto zooprofilattico delle venezie

Prevenire, perché curare è stato molto doloroso, oltre che estremamente costoso. All’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, diretto da Antonia Ricci – ieri al World Health Forum – lavoravano con i virus ben prima dell’avvento del Covid e continuano a farlo oggi, perché da qualche parte c’è un virus intenzionato a diventare pandemia.

Dottoressa Ricci prima del Covid nessuno parlava di spillover, mentre adesso abbiamo una gran paura dei virus pronti a fare il salto dall’animale all’uomo. Voi ci state lavorando, vero?

«Sì. Noi dell’Izsve siamo un’istituzione veterinaria e da sempre ci occupiamo dei virus che passano dagli animali all’uomo, sia dei cosiddetti virus zoonotici – come tubercolosi, brucellosi e salmonella – che normalmente passano dagli animali all’uomo, che di quelli che normalmente stanno nel serbatoio animale e potrebbero fare il famoso salto di specie e una volta passati all’uomo dar luogo a una pandemia».

Insieme al Vimm lavorate su un progetto per predire o comunque velocizzare la capacità di capire i rischi.

«Vero. Questo progetto è stato accelerato dalla pandemia proprio perché in quell’occasione è stato chiaro a tutti quanto gli animali potessero essere una fonte pericolosa di patogeni per l’uomo: pensiamo che il 75% dei virus emergenti deriva dal mondo animale quindi è chiaro che dobbiamo guardare al serbatoio animale per prevedere il rischio per l’uomo. Si fa innanzitutto studiando i virus attraverso tecniche di sequenziamento, che significa produrne la mappa genetica. In questa massa enorme di informazioni ci aiuta l’intelligenza artificiale poiché ci permette di studiare tutte queste sequenze a livello mondiale e avere dei segnali di rischio, cioè vedere se qualcuno di questi virus ha caratteristiche genetiche che lanciano un allarme. Ma questo non è ancora sufficiente a stabilire se poi nella realtà questo virus sarà pericoloso, pertanto quello che noi facciamo assieme al Vimm è selezionare i virus potenzialmente pericolosi e testarli utilizzando degli organoidi, piccole strutture che simulano l’organismo umano e su cui noi facciamo dei test per vedere se davvero sanno produrre quel danno che il loro codice genetico ci fa pensare siano in grado di fare. Dopodiché, attraverso altri test di laboratorio, verifichiamo se questi virus si trasmettono facilmente da uomo a uomo perché il salto di specie è una cosa ma poi un virus, per diventare pandemico, deve avere la capacità di diffondersi. La grande novità è che attraverso questi nuovi sistemi facciamo tutto in una settimana: tanto passa da quando abbiamo un virus candidato a essere pericoloso a quando ne abbiamo la certezza e posiamo cominciare a lavorare per fare vaccini o anticorpi: questa è una rivoluzione».

Ci sono all’orizzonte virus particolarmente preoccupanti?

«Purtroppo sì ma trovarli è il nostro mestiere e ci mette al riparo da rischi maggiori. A preoccuparci è il virus dell’influenza aviaria. Non a caso il piano pandemico si chiama Panflu perché i virus sotto controllo come potenzialmente pandemici sono quelli influenzali. E nel nostro territorio abbiamo continuamente la minaccia dell’aviaria per cui siamo anche centro di referenza europeo. Proprio per capire se ci sono segnali di potenziale rischio teniamo costantemente sotto controllo i virus che isoliamo dal mondo animale: in questo momento non c’è alcun allarme, ma dobbiamo continuamente guardarli perché davvero potrebbero essere il prossimo virus pandemico».

Si parla molto di one health, cioè di correlare la salute dell’uomo con quella dell’animale. In cosa consiste?

«Veterinari e medici devono lavorare assieme per tutelare la salute degli uomini. Ma tocca ai veterinari individuare le minacce nel mondo animale perché conoscono ambiente, patologie e ospiti. Bisogna trovare nodi, quali i patogeni ma anche l’antibiotico-resistenza, che potrebbero minacciare la salute dell’uomo e assieme lavorare per ridurre il rischio».

Crede che una nuova pandemia sia vicina e probabile?

«Questo non lo possiamo dire. È probabile: tutti gli studiosi dicono che ci sarà, ma le pandemie ci sono sempre state. Il Covid ci ha aiutato a essere più preparati e non dobbiamo dimenticarci delle cose che abbiamo imparato e lavorare tutti assieme in uno sforzo multidisciplinare per predire la prossima pandemia o comunque evitarne gli impatti».

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