"La stampa è libera, ma non basta"
Lo stato di salute dell’informazione. Carlo De Benedetti, presidente del gruppo Espresso, a Venezia per le celebrazioni del 25esimo anniversario della Nuova Venezia. L’editore: "La Nuova di Venezia e Mestre diventerà leader Ha vinto la scommessa del nuovo stile"
Massimo Cacciari e Carlo De Benedetti
VENEZIA
. «In Italia la libertà di stampa esiste. Altrimenti i nostri giornali non sarebbero in edicola tutte le mattine. Il problema è se esiste la libertà di informazione, il diritto del cittadino a essere informato. Se uno in questo Paese guardasse solo la televisione non avrebbe mai saputo che esistono le dieci domande di Repubblica a Berlusconi».
Carlo De Benedetti, presidente del gruppo Espresso, è a Venezia per le celebrazioni del 25esimo anniversario della Nuova Venezia. Un appuntamento fissato ben prima della manifestazione nazionale sulla libertà di informazione che si tiene nel pomeriggio a Roma. Ma il tema è quello. Se ne parla all’Ateneo veneto, con il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, lo storico Mario Isnenghi, il direttore della Nuova Antonello Francica che fa da moderatore.
Cacciari frena: «L’informazione è in crisi perché la democrazia è in crisi, c’è una crisi globale della democrazia». E attacca i giornalisti: «La stampa ha contribuito alla deriva demagogico-populistica di questo Paese. Non informa nel senso di spiegare e contribuire a formare. Preferisce le grida, cavalca la paura invece di curarla. Come fanno i nostri cittadini a essere informati sulle cerniere del Mose, sui pericoli del nucleare? Che ne sanno del cloro a Marghera? Eppure hanno fatto il referendum. C’è una crisi di rappresentanza, ci sentiamo ormai rappresentati solo da chi porta avanti il nostro interesse. E i giornali parlano la stessa lingua».
L’ingegnere difende le sue creature: «Con Scalfari e Caracciolo abbiamo inventato un nuovo stile e un nuovo linguaggio, una serie di giornali provinciali che hanno avuto successo. E a Venezia la scommessa è stata vinta». Poi risponde diplomatico ma in modo netto al sindaco filosofo. «Al contrario di Cacciari io non penso che la deriva sia stata favorita dalla stampa. Forse la stampa non l’ha capita in tempo e non l’ha combattuta abbastanza, ma è un’altra cosa». De Benedetti parla con orgoglio del suo gruppo editoriale, L’Espresso, Repubblica, il maggiore quotidiano nazionale, e diciotto giornali locali. «Vendono 450 mila copie vere ogni giorno, sono di gran lunga il primo giornale del Paese», dice. Quanto alla Nuova, di cui si festeggia il traguardo del quarto di secolo, De Benedetti supera con un sorriso le critiche del sindaco Cacciari: «Faccio l’imprenditore da tanti anni e mai nessuno è stato completamente contento dei nostri giornali. Ma questo è un bene, se no ci sarebbe da preoccuparsi».
Quanto alla penetrazione del nuovo giornale nel territorio veneziano, De Benedetti parla di una «scommessa ampiamente vinta».
«Non mi azzardo a discutere con Massimo Cacciari, che stimo molto - attacca - da imprenditore mi limiterò a fornire delle cifre. Nel decennio 2000-2009 le copie dei giornali vendute a Venezia sono passate da 94.733 del 2000 alle 68.041 nel 2009. Il Gazzettino è diminuito del 41,6 per cento, la Nuova Venezia al contrario ha aumentato del 32 per cento. La nostra quota di mercato è passata dal 9 al 16 per cento, quella del Gazzettino è scesa dal 46 al 36. Per quello che ci riguarda è stato un grande successo. La nostra battaglia di mercato l’abbiamo vinta. Guadagnare cento lettori al giorno è molto difficile soprattutto in questa fase di crisi, strutturale ed economica perché cala la pubblicità. Ma noi puntiamo adesso a diventare il primo giornale veneziano. E lo diventeremo».
Un’operazione vincente, voluta da Carlo Caracciolo all’insegna del giornale «provinciale», vicino alle città. «Perché la regione non esiste, è un’astrazione di tipo amministrativo - continua De Benedetti - mentre la gente ha bisogno di identificarsi nel suo territorio». Un gap che oggi si allarga con la politica. «Dove i parlamentari non sono scelti dai cittadini, sono liste di nominati. Si vota il simbolo, e non più la persona».
L’ingegnere parla di Repubblica. Definisce «cazzate» le voci che vorrebbero il direttore Ezio Mauro pronto a candidarsi ai vertici del Partito democratico: «Mauro è il miglior direttore che abbiamo in Italia, un grande lavoratore. Uno che ha cominciato facendo il cronista parlamentare in motorino. Figuratevi». E ancora: «Repubblica non è una corrente, è l’orizzonte dei Democratici. Un giornale non può sostituirsi alla politica, deve informare, dire le cose. E noi ci sentiamo portatori di valori».
In prima fila ad ascoltare Massimo Cacciari e Carlo De Benedetti che discutono di informazione c’è una pattuglia di assessori, il vicesindaco Michele Mognato, le assessore Mara Rumiz, Annamaria Miraglia, Luana Zanella.
Il presidente dell’Ateneo Antonio Alberto Semi fa gli onori di casa, ricorda l’importanza dell’informazione locale anche nell’ambito della cultura veneziana. L’ingegnere ringrazia e ammira lo scrigno dell’Ateneo, da sempre sede privilegiata di manifestazioni e incontri della cultura veneziana di livello.
In platea ci sono anche i manager del gruppo e i dirigenti della Manzoni, la concessionaria di pubblicità, guidati dall’amministratore delegato Fabio Vaccarono, Bruno Manfellotto direttore editoriale Finegil, con il suo predecessore Maurizio De Luca. Poi Alberto Statera, oggi inviato di punta di Repubblica, Paolo Possamai (oggi al Piccolo), Tiziano Marson (Alto Adige), i direttori del Mattino (Omar Monestier) e della Tribuna (Sandro Moser). De Benedetti li ringrazia tutti. E «tutti i collaboratori che il giornale lo fanno».
Ad ascoltare, anche il rettore di Ca’ Foscari Pierfrancesco Ghetti, il presidente della Casinò spa Mauro Pizzigati, Arrigo Cipriani, Mario Carraro, Ferdinando Camon. Il presidente degli Industriali veneziani Luigi Brugnaro e il suo vice Statis Tsuroplis, imprenditori, esponenti di associazioni e comitati. In sala ci sono i cronisti della Nuova, i «soci fondatori», con Bruno Minciotti, il primo caporedattore Emanuele De Polo, Beppe Gioia e Maurizio Crovato, il presidente dell’Ordine Gianluca Amadori.
Venticinque anni dopo il numero zero, è l’editore De Benedetti a definire «un grande successo» l’impresa del nuovo giornale. Aperto il 18 settembre 1984 in territorio «ostile», in casa del concorrente Gazzettino. E diventato una voce libera di testimonianza civile e informazione. «Una corazzata con tanti incrociatori», lo definisce il professore Mario Isnenghi. Che ricorda la nascita del Mattino di Padova, della Tribuna di Treviso e della Nuova. «Una pluralità di voci, una grande chance per non parlare la stessa lingua del concorrente. Un mondo sempre in bilico tra il piccolo e il grande».
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