La neve “sciabile” scala le montagne: in trent’anni il limite è salito di 230 metri

L’Arpav mette in evidenza gli effetti del cambiamento climatico: a rischio le stazioni invernali sotto quota 1500
Francesco Dal Mas
L’aumento delle temperature aggiungerà vincoli alla produzione di neve programmata
L’aumento delle temperature aggiungerà vincoli alla produzione di neve programmata

Il permafrost sulle Alpi Orientali è sceso da quota -5 a quota -11 metri. A causare ciò le temperature troppo calde dal 12 al 26 agosto, le più torride degli ultimi 30 anni. Si potrebbero spiegare in questo modo anche i recenti crolli sulle Dolomiti, i più significativi sul Sassolungo e nel Gruppo del Brenta. Il caldo è stato superiore di 7-8 gradi alla media del periodo. È quanto andrà a spiegare Mauro Valt, per conto dell’Arpav Veneto, al convegno (non aperto al pubblico) che si terrà sabato alla stazione di Ra Valles, dove la stessa agenzia gestisce un centro di rilevazione dati sulla neve, le valanghe e le temperature ormai da 40 anni, a ben 2600 metri di altezza.

Con lo zero termico che si mantiene sempre in quota, il permafrost continuerà a calare anche nei prossimi giorni, dai 2700 metri in su. Ma accade di peggio con il cambiamento climatico. La neve cosiddetta “affidabile” sale di quota, si alza da 1500 metri a 1750. È considerata affidabile quella coltre bianca che, alta almeno 30 centimetri, resiste per almeno cento giorni tra il 10 dicembre e il 30 aprile. Ovvero la neve più sciabile.

L’Arpav del Veneto ha condotto con lo stesso Mauro Valt uno studio approfondito che è stato recepito dal Piano neve della Regione. Lo studio che Valt presenterà a Ra Valles certifica che la quantità di neve al suolo è diminuita nel trentennio recente specie alle basse quote (sotto i 1500 metri), più sensibili all’aumento globale della temperatura. Alle quote superiori nevica di meno e gli spessori di neve al suolo sono in diminuzione in tutti i parametri anche se sussistono singole stazioni con livelli in crescita.

La mancanza di neve a bassa quota, iniziata a fine degli anni ’80 e proseguita per il decennio successivo, ha portato alla scomparsa di tanti piccoli comprensori. «Questa considerazione va al di là della quantità di neve in pista per un’ottima sciata che lo sciatore di quei tempi richiedeva rispetto alle esigenze dello sci moderno. Alcuni siti riportano oltre 300 piccole stazioni dismesse, forse non tutte per la mancanza di neve ma», precisa Valt, « per gran parte di loro la non sostenibilità economia è iniziata con una quota neve più elevata».

La quota di affidabilità della neve naturale, come spiegherà l’esperto di Arpav, è in innalzamento, indicando una maggior possibilità di sciabilità per i comprensori ad alta quota. E quel che è più importante, le elaborazioni sul periodo di 60 anni evidenziano un incremento della quota della neve di 213 metri per ogni aumento di 1°C della temperatura.

Il periodo con il maggior innevamento sulle Alpi italiane è stato il 1971-1980 mentre il decennio con meno neve il 2011-2020. La quota dell’affidabilità della neve naturale per lo sci si è innalzata a quota 1750 metri per il periodo 1991-2020, oltre 230 metri in più rispetto al precedente periodo. L’analisi ha confermato per le Alpi meridionali un incremento di quota legato a un clima più mite rispetto al clima continentale dell’Austria e parzialmente della Svizzera.

Secondo alcuni autori, anche in futuro (2021-2050), la neve naturale mostrerà un’ampia variabilità di anno in anno. Tuttavia le simulazioni dei modelli climatici regionali evidenziano una drastica diminuzione sia della durata della copertura nevosa sia della risorsa idrica in Europa entro la fine del XXI secolo. Per le Alpi, a un’altitudine di 1500 metri le simulazioni recenti prevedono una riduzione del dell’80-90% dell’equivalente idrico nivale (l’indice che misura la quantità di acqua che è stoccata nella neve) entro la fine del secolo.

Per l’Europa continentale – fa sapere Valt – i modelli climatici non mostrano una chiara variazione delle precipitazioni fino al 2050. «Il clima futuro», scrive il tecnico Arpav, «probabilmente non consentirà l’esistenza di una copertura nevosa permanente durante l’estate, anche alle quote più elevate delle Alpi ove si pratica lo sci estivo, con ovvie implicazioni per i ghiacciai rimanenti». È strategica quest’ulteriore sottolineatura di Valt: «A causa del progressivo riscaldamento, i vincoli per la produzione di neve programmata aumenteranno fortemente nelle Alpi europee, soprattutto a basse e medie altitudini fino a circa 1500 metri, poiché le fasce orarie per la produzione di neve si ridurranno fortemente a tutte le quote (le tecnologie odierne hanno limiti tecnici legati alla temperatura)».

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