La carne dell'orso va di traverso ai leghisti
Mancavano i certificati sanitari: arriva la Forestale, blocca il pranzo e sequestra tutto
Il senatore della Lega Nord, Sergio Divina, accanto a due confezioni di carne d'orso
IMER (Trento). Erano duecento, giovani e forti, ed erano venuti per mangiare carne di orso. Hanno dovuto ripiegare su polenta salsiccia e tosella, come in qualunque altra malga. Alle 8 di mattina si presenta la Forestale per controlli e sequestra i 53 chili di carne importati dalla Slovenia perché privi di certificazione sanitaria. Il «gesto dimostrativo» organizzato a Imer dai leghisti trentini, va in fumo. Il pranzo di traverso. Per la cena arrangiarsi. Una domenica rovinata.
Alle 13 e 26, ora dell'Ansa, Erminio Boso, detto Obelix, grande capo dei leghisti trentini, è più inferocito dell'animaccia dell'orso morto ammazzato, che magari se la sta ridendo da qualche parte, se esiste un aldilà anche per le bestie: «Domani chiamo Bossi e gli dico di uscire dalla maggioranza - impreca -. Questi ce li hanno mandati da Roma». Non ha torto: i militari che hanno fatto il sequestro sono del Nipaf, nucleo investigativo di Vicenza e del Corpo Forestale dello Stato di Asiago. E' il loro comandante, Isidoro Furlan, ad ammettere senza problemi che «il normale controllo amministrativo» è stato richiesto dalla direzione generale del servizio Cites di Roma. Cites è l'acronimo in inglese di «Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna a rischio di estinzione», firmata a Washington nel 1975, alla quale aderiscono 169 Paesi. L'orso è una specie protetta, l'importazione di carni è soggetta a procedure rigorose, manca il certificato Cites, inevitabile il sequestro.
I leghisti provano a parare il colpo: chiamano il fornitore, si suppone riempiendolo di improperi perché era lui che avrebbe dovuto farsi rilasciare la certificazione dagli sloveni. E ottengono la garanzia che la maledetta carta sarà in Italia nel giro di poche ore. Purtroppo non basta. Succede come con la stradale: quando ti fermano, o non hai pagato il bollo, o non hai esposto il tagliando dell'assicurazione, o il battistrada è usurato, o manca il triangolo. Qualcosa fuori posto c'è di sicuro. Per la carne di orso il rischio è serio: bisogna escludere che contenga trichina, un parassita pericoloso per l'uomo. Può farlo solo l'Istituto Zooprofilattico delle Venezie, che ha sede a Legnaro. Morale: la carne viene caricata su camion frigo e spedita a Padova. Ci vorranno almeno due o tre giorni per conoscere il risultato. Dopo di che, mano al portafoglio, caro Obelix: si presume che il costo delle analisi non sarà a carico del sistema sanitario nazionale.
Anche i leghisti trentini cercano di sdrammatizzare. «Conosciamo il carattere di Boso, cercheremo di risolvere la situazione», dice Maurizio Fugatti, parlamentare, uno degli organizzatori. Acqua sul fuoco anche dalla Forestale: fa sapere che i leghisti sono stati «molto collaborativi». Ma va anche detto che mezza Italia sta ridendo alle loro spalle. Sulla vicenda alle otto di sera contiamo una quarantina di lanci di agenzia. Si parla dell'orso in tutte le salse, dalle ricette austroungariche con cui volevano cucinarlo i cuochi di Obelix alle ricadute politiche sul governo Berlusconi. Esulta il Wwf. Replicano i leghisti sostenendo che la provocazione ha centrato l'obiettivo: se ne sta parlando.
Ma qual era il loro scopo? Denunciare i danni provocati dai plantigradi, introdotti dalla Slovenia in Trentino con il progetto «Life Ursus». «Un progetto costoso - commenta Andrea Gios, sindaco di Asiago - che noi non potremmo mai permetterci, diversamente da loro. Né mi interesserebbe, perché lo trovo una forzatura. Ma se l'orso viene sull'Altopiano, ben venga. L'anno scorso avevamo "Dino" che faceva scorribande, qualche danno l'ha provocato. E allora? La Provincia li rifonde ai malgari: qualche pecora, due asini, un alveare. L'orso fiuta l'uomo in anticipo, scappa molto prima che lo vediamo. Noi lo consideriamo un'icona, la dimostrazione che l'ambiente è sano. La provocazione dei trentini è una stupidaggine, anzi una vergogna».
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