Palude Venezia, l’ex vicesindaca Colle: «Ceron e Donadini succubi del sindaco.In giunta parlavano solo Boraso e Zuin»
Le dichiarazioni di Luciana Colle, vice di Brugnaro nel primo mandato: «Mai una vera discussione, ci si incontrava che era già tutto deciso»
«In giunta non c’è mai stata una vera discussione perché tutto era già stato deciso», dice l’ex vicesindaca Luciana Colle, della prima giunta Brugnaro.
Narrano anche del dietro le quinte dell’amministrazione del Comune di Venezia - in cui il sindaco è l’imprenditore che tutto decide e il suo staff ne è l’esecutore fedele - le dichiarazioni messe a verbale dagli assessori interrogati nell’ambito dell’inchiesta Palude. Giunte dove solo a pochi è concesso di parlare.
«Vi era effettivamente qualcuno che poteva occasionalmente contestare il sindaco e discutere con questi», dice l’ex vicesindaca Luciana Colle, «ed erano Renato Boraso e Michele Zuin, che occupandosi del bilancio ereditato in disordine, era in grado di far valere pressanti esigenze finanziarie. Altro assessore che veniva ascoltato dal sindaco era Simone Venturini, che si è sempre mostrato equilibrato». Stop.
E anche con le persone delle quali si fidava di più, che il sindaco si era portato con sé dalle sue altre società per farne capo di gabinetto e vice - racconta ancora Colle - Brugnaro non era tenero: «Donadini e Ceron erano succubi del sindaco e terrorizzati da lui che spesso li investiva di improperi». Aggiunge poi che non si fidava di Morris Ceron: «Con lui non facevo mai incontri da sola, mi cautelavo sempre con un testimone: ne diffidavo».
«Devo precisare, sulla scorta della mia esperienza quasi decennale in giunta, che quando è presente il sindaco parla solo lui e io e gli altri interveniamo solo se interrogati o solo se il sindaco sta dicendo una enormità e commette un grosso errore», mette a verbale anche l’assessore Michele Zuin, «è vero che io più di altri assessori potevo intervenire e contraddire il sindaco, ma perché avevo affidate deleghe (Bilancio e aziende partecipate) che mi impongono di intervenire se viene detta una cosa sbagliata. È vero che anche Renato Boraso interveniva in giunta, sul versante politico, contraddicendo il sindaco. Molti dirigenti non avevano invece il coraggio di contraddire il vertice del Comune, salvo poi lamentarsi a posteriori».
Non tutti: «Mario Carulli era funzionario al Patrimonio e so che più di qualche volta obiettava con il Ceron e gli contestava affermazioni di questi che contrastavano con i regolamenti comunali».
O come Marzio Ceselin, responsabile bandi per la Polizia locale: «L’unico funzionario che si è opposto al mio agire e alle mie interferenze», ha dichiarato Boraso.
E pure l’ex assessore accusato di 13 episodi di corruzione, si è vantato di essere tra i pochi con “diritto di parola” in giunta: «È vero che all’interno della giunta comunale vi erano assessori di peso, che avevano la facoltà di esprimere la posizione del loro assessorato ed altri che contavano poco o nulla. Fra i primi c’eravamo certamente io e l’assessore al Bilancio Zuin (...) Brugnaro ha un carattere molto duro perché sosteneva che era indispensabile per riordinare la situazione del Comune».
Certo, nulla di illegale nei modi “padronali” del sindaco nella direzione del Comune. Un clima, ma niente che abbia a vedere con le contestazioni che la Procura ha sinora mosso al sindaco Brugnaro, al direttore generale Morris Ceron, al vice c apo di gabinetto Derek Donadini, di concorso in corruzione con Renato Boraso, il magnate Chiat Kwong Ching, l’imprenditore-accusatore Claudio Vanin nell’ambito del tentativo di vendere al magnate l’area dei Pili, dopo avergli fatto acquistare Palazzo Papadopoli (con uno “sconto” milionario, secondo l’ipotesi di accusa). Accuse respinte dai diretti interessati e sulle quali si saprà a giorni se la Procura chiederà il rinvio a giudizio o meno per gli indagati. Nel qual caso saranno comunque i giudici a valutare.
«Né Brugnaro né i suoi collaboratori mi hanno mai riportato che avevano appreso che Boraso chiedeva denaro alla gente», conclude Zuin il suo verbale davanti ai pm Baccaglini e Terzo, «Boraso non mi ha mai chiesto nulla di illecito. Questa vicenda per me è stata una profonda delusione». —
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