Il verdetto del Nordest:l'Italia non ha futuro

La classe dirigente prevede due opposti scenari per il Veneto e per il sistema Paese
La lente utilizzata è una domanda sulla congiuntura, ne scaturisce una bocciatura netta del sistema Paese. Un verdetto che sembra superare le considerazioni di ordine economico, per rivolgere all’Italia nel suo complesso un’attenzione all’insegna, se non dell’estraneità, della lontananza e del distacco. La prima rilevazione della Fondazione Nord Est sul panel di testimoni privilegiati della classe dirigente veneta, effettuata per il nostro giornale, dà un responso improntato proprio alla distanza. Crescita frenata, peso della burocrazia, ricambio inesistente, incapacità di avviare un circolo virtuoso di modernizzazioni: il resto del Paese, visto dal Veneto, è appesantito da tare che coinvolgono certo anche il Nordest, ma che non riescono ad arrestarne lo slancio competitivo.


E’ un’attitudine della classe dirigente del Veneto da tenere in conto, tanto più che viene monitorata alla vigilia di un’importante consultazione elettorale. Perché il «distacco» traspare con chiarezza dai saldi di opinione rilevati dai ricercatori della Fondazione Nordest. Su cento persone interpellate (si vedano gli articoli e le tabelle a lato), il saldo sulla fase congiunturale attuale è positivo per il 12,3 per cento, una valutazione che sale al 18,4 per cento quando si allarghi lo sguardo a Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.


E’ il giudizio sulla performance dell’Italia a colpire per la completa diversità di registro: la differenza tra coloro che vedono il Belpaese in flessione (63,2 per cento) e chi lo considera in crescita (7,4) è negativo di 55,8 punti. Una valutazione puntuale, sembrerebbe, perché quando si torna a parlare di Europa il saldo torna positivo di 8,4 punti percentuali, mentre le risposte su Usa e Mondo rispondono più ad attese relative a dinamiche generali. Questa lettura viene sostanzialmente confermata quando si considerino le risposte alla domanda sul «prossimo futuro» dell’economia. Anche qui, sebbene con qualche scostamento, balza agli occhi la diversità di valutazione che separa Veneto e Nordest da una parte, Italia dall’altra. Sulle prospettive congiunturali le élites venete sono meno ottimiste quando si consideri la regione (-4,2 per cento) e il Nordest (+3,1), ma di certo bissano il proprio giudizio negativo quando si passi a parlare dell’Italia (-45,3 per cento).


Anche in questo caso le risposte sull’Europa (saldo 0) tornano su un binario di contiguità con quelle relative all’Italia nordorientale. E’ insomma un Nordest che si considera più simile all’Europa che al resto dell’Italia, quello che dipinge la classe dirigente veneta monitorata dalla Fondazione Nordest. Un quadro in cui a ben vedere al Friuli-Venezia Giulia e al Trentino-Alto Adige viene attribuita una maggior salute rispetto al Veneto. Il resto dell’Italia però rimane sullo sfondo, come un dato con il quale giocoforza si deve fare i conti, ma senza slancio, quasi con rassegnazione. I motivi di questa percezione sono economici e non solo. Quanto al primo aspetto, il Veneto delle medie imprese, che dopo essersi ristrutturato ora compete con successo sui mercati internazionali, si sente avvantaggiato dalla prossimità geografica con i mercati nord- ed esteuropei.


E pazienza per il resto dell’Italia, così incapace di cogliere le opportunità di crescita sui mercati esteri. Ma quanto alle considerazioni più generali il Belpaese è sentito lontano perché, a cinque settimane dalle elezioni, incerte restano le sue prospettive politiche, la sua capacità di rimettersi in cammino. Del resto, come nota Daniele Marini, direttore scientifico della Fondazione Nordest, sono molti anni che le élite nazionali non individuano un obiettivo condiviso indirizzando di conseguenza i loro sforzi: accadde al tempo dell’ingresso nell’euro, poi basta. Ora la domanda, riprendendo uno slogan elettorale in voga, è quindi: We can? Nel Veneto è una domanda davvero decisiva.

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