Il Veneto resta un feudo dei veronesi
ROMA. Tutto si può dire meno che non sia un prodotto nuovo. Totalmente nuovo, per certi versi persino “rivoluzionario”. La guida “I Vini d’Italia 2017” de L’Espresso, già in edicola al prezzo di 18 euro, presenta un’impostazione rovesciata come un calzino rispetto alle edizioni precedenti. Nel senso che i suoi nuovi curatori, Andrea Grignaffini e Antonio Paolini, armatisi di coraggio hanno buttato all’aria il consueto concetto della meritocrazia assoluta legata alla qualità e al lignaggio del vino (che tanto piaceva agli addetti ai lavori), preferendo una volta tanto mettersi dalla parte del consumatore. E classificare le poche centinaia di vini-top selezionati (300 per la precisione, fra le varie migliaia di quelli assaggiati) in modo originale: i cento migliori da bere subito (ora o quando uno ne avrò voglia), i cento da comprare per la loro convenienza (ovvero per il loro rapporto qualità-prezzo) e i migliori cento da conservare, in questo caso quelli di grande stamina e ad alto tasso di complessità destinati a migliorare con l’affinamento nel tempo e a diventare quindi anche un piccolo investimento.
Così facendo, ovvero sacrificando i “soliti noti” abituati al podio delle classifiche assolute, ne è uscita una graduatoria, anzi tre graduatorie, completamente nuove, sorprendenti. Con in vetta alle classifica vini che non avevano mai avuto questa ribalta di prestigio. Un esempio? Il Poliphemo 2012 di Luigi Tecce, l’anarchico dell’Aglianico di Taurasi (Avellino), è in vetta alla classifica dei vini da blindare in cantina e stappare fra qualche anno. Davanti a un Barolo, due Barbaresco e un Brunello. Costa “solo” 45 euro e, profetizza la guida, è uno dei migliori Taurasi mai prodotti: “un vino - garantisce la guida - figlio della sua terra, carnoso, sanguigno, sferico e poi sfac- cettato e dal finale chirurgico. In futuro sarà pazzesco”.
In generale la guida, letta in trasparenza, dice una cosa inequivocabile: i vini del Sud, anzi del Centro-Sud, sono cresciuti qualitativamente in maniera vertiginosa, tanto da insidiare e, in qualche caso, sovvertire, le leadership di settore più consacrate.
In ambito regionale rivoluzione a metà. Nel senso che la parte del leone la fanno sempre i veronesi, inattaccabili anche se i criteri di valutazione sono cambiati. Lo sono dall’alto dei loro grandi Amarone, Valpolicella, Soave e Recioto. Senza contare i meno blasonati Bardolino, Chiaretto, Custoza e Durello (zona di produzione condivisa con il territorio dei Lessini vicentini). Cambiano semmai le etichette segnalate fra gli Amarone, così accanto al “solito” Quintarelli (il suo Amarone Classico 2007, prezzo 250 euro, è il migliore fra i vini veneti “da conservare) e al già premiato Bertani, troviamo vini dei vari Begali, Tedeschi, Speri e Zonin (il suo Amarone 2012 è fra i 100 da bere subito). Più altri meno noti, in tutto una pagina intera! Confermato il Soave di Pieropan, il Classico La Rocca 2014 è nell’elite della categoria “Vini da conservare”.
Tengono botta i vini della Marca, il Prosecco soprattutto, con prevalenza di quello di Conegliano-Valdobbiadene (ben 15 vini segnalati , suddivisi nelle tre categorie: da comprare, da conservare e da bere subito), senza dimenticare quello prodotto nelle Colline asolane. Tra le aziende non mancano le sorprese. Bisogna pur rinnovarsi.
I vini vicentini confermano il loro trend in crescita: Colli Berici, Gambellara, Breganze, Durello dei Lessini, con aziende giovani che fanno capolino nella vetrina che conta, come Contrà Soarda con il suo Torcolato Riserva Sarson 2013 o la Pegoraro dei Berici con il suo Tai Rosso Doc 2015, da 9 euro, fra i vini da vero affare. Sui Colli Euganei spicca un vino di Zanovello - Ca’ Lustra, il Cabernet Girapoggio 2009: da bere subito!
Fra i curatori dei testi figurano anche due esperti veneti: il padovano Davide Scapin e la veronese Alessandra Piubello.
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