Il rischio di una malattia contagiosa

VENEZIA. Un colpo di sole fuori stagione o la spia di un malessere sotterraneo che andrebbe diagnosticato in tempo, pena conseguenze serie per la salute della politica? Nella sua disarmante gravità, la vicenda dell’assessore alla Mobilità Enrico Mingardi - che, come niente fosse, sbatte la porta del Pd e del centrosinistra e passa nell’altra metà del campo - pone due diversi ordini di questioni e innesca più di un campanello d’allarme non solo per il centrosinistra veneziano, impegnato in una difficilissima partita per conservare la guida di Ca’ Farsetti, ma, appunto, per la politica in senso lato.


Da tempo in declino per calibro morale nonchè per inadeguatezza di proposte e progetti, la politica avrebbe fatto volentieri a meno di questo episodio che la colloca nel genere mercato calciatori-choc. Una cosa simile a quella patita dai tifosi dell’Inter quando assistettero allibiti al passaggio di Ronaldo al Milan. Ma tant’è: i calciatori, uomini-simbolo di un club o portabandiera di una città, sono strapagati per far vincere la loro squadra e per far divertire la gente. Nel caso in questione, non si parla di ingaggi e non si diverte nessuno. Ma c’è un’aggravante: che credibilità può avere Mingardi che cerca asilo nel centrodestra e che credibilità può avere il centrodestra che lo accoglie, se lo accoglierà? E ancora: che idea si fanno i cittadini di queste capriole? Risposta fin troppo facile: che tutto è della stessa pasta, che stare di qua o di là è la stessa cosa, e che non ci sono differenze.


Un grande assist, insomma, al dilagante populismo di cui soffre il Paese. Forse ha ragione il sindaco Cacciari a dire che il caso Mingardi è figlio di questi anni sporchi, se questo vuol dire mancanza di quel senso erasmiano teorizzato da Ralf Dahrendorf che ha consentito ad una schiera di grandi intellettuali europei di non cedere di fronte alle lusinghe dei totalitarismi del Novecento. Certo, qui si tratta forse di un banale cedimento autoreferenziale contrario alla cultura di servizio cui fa riferimento la provenienza di Mingardi, ma dal punto di vista etico e morale le cose non cambiano.


Ecco perchè il centrosinistra veneziano, e il Pd in particolare (ma la cosa potrebbe riguardare anche lo schieramento avverso) dovrebbero cogliere l’occasione per darsi una mossa, guardandosi dentro senza tentennamenti e senza indugi, per scoprire se il caso Mingardi è il sintomo di una malattia silenziosa e rischiosa, e se è contagiosa. Perchè il malessere che affligge il Pd da Sud a Nord è anche frutto di regressioni ideali e di vuoti di leadership ai quali sarebbe ora di rispondere con serietà, costruendo un percorso chiaro e condiviso da tutti. E perchè guarire da questo malessere, sarebbe un’altra vita anche per la politica e per la democrazia italiana oggi preda di sterili conformismi.

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