I rischi del nuovo populismo

L’Italia si sgretola pezzo dopo pezzo: Monte dei Paschi, Eni, Finmeccanica

 

L’Italia si sgretola pezzo dopo pezzo: Monte dei Paschi, Eni, Finmeccanica. Finiscono in manette vecchi e nuovi rampanti: Angelo Rizzoli e Alessandro Proto. La Regione Lombardia viene descritta come un grand hotel: ostriche e champagne. Come la Regione Lazio. O peggio. Mancano appena otto giorni al voto. Le elezioni più delicate degli ultimi vent’anni. Maledettamente incerte.

Il populismo, malattia senile della democrazia, imperversa nelle piazze, sia quelle affollate di gente in carne e ossa sia quelle popolate di telespettatori. La scadenza elettorale amplifica la sfiducia verso un sistema di democrazia rappresentativa incapace di rigenerarsi.

Persino la raffica di arresti ordinati dalla magistratura – fondate o meno che siano le accuse – non rassicura i cittadini. Anzi. La medicina dei pm viene somministrata – così appare - quando la malattia è già giunta alla stadio terminale. Non allevia sofferenza. Svela contiguità sempre più insopportabili in tempi di crisi e di fame (e per molti, purtroppo, non è una metafora): affari della Lega e quelli di Formigoni; sport ed edilizia; aziende internazionali e mazzette mondiali; antiche banche e nuovi-vecchi partiti tipo Pds/Ds/Pd.

E’ la MalaItalia raccontata con durezza e amore nel docufilm realizzato con Annalisa Piras dall’ex direttore del londinese “Economist”, Bill Emmott. Ipocritamente censurato dal museo romano Maxxi, diretto dall’ex ministra Pd Giovanna Melandri, il film è stato proiettato mercoledì a Roma e giovedì all’Aquila per iniziativa del settimanale “L’Espresso”. Una emozione aggiuntiva per chi come me ha potuto vederlo nella città ancora devastata dal terremoto del 2009.

L’ignavia, ci dice a muso duro questo rigoroso giornalista britannico dalla vaga somiglianza con Lenin, è la colpa principale di noi italiani. Rassegnati e inerti. Eppure dotati di invidiabili eccellenze intellettuali e imprenditoriali. Amorali quando non immorali. Prigionieri dei nostri interessi personali, privi di senso civico, disposti ad affidarsi in politica all’uomo che da solo risolve ogni cosa. E’ stato così dalla fine ingloriosa della Prima Repubblica con il trionfo del populismo incarnato da Silvio Berlusconi. Sarà così (ma questo il film non lo dice, ovviamente) anche con la caduta della sgangherata Seconda Repubblica?

Un nuovo populismo – meno ricco di mezzi, più fondato sulla partecipazione via web – si affaccia dietro la barba arruffata di Beppe Grillo. Ancora poco decifrato dai media tradizionali, perché colpevolmente snobbato come fenomeno effimero. Invece profondo. Trasversale. Capace di pescare a sinistra il 45 per cento del suo potenziale elettorato e a destra un altro 40%. Una bomba a orologeria nel futuro Parlamento. Quello stessa istituzione sovrana, affollata nella scorsa legislatura da 88 tra deputati e senatori inguaiati con la giustizia (secondo una inchiesta di “Repubblica” del luglio 2011). Disposti a credere alla favola della signorina Ruby Rubacuori “nipote di Mubarak”.

Le radici dell’avventura populistica sono profonde, insomma. Né la principale forza della s. inistra ha fatto fino in fondo i conti con le proprie responsabilità nel degrado della vita pubblica e nella diffusione della corruzione. Per quanto meritevoli, non potevano bastare le primarie. Così il Pd è rimasto incantato dal miraggio della vittoria facile, rischiando ancora una volta di non capire gli umori dei ceti popolari. Abbandonati alla facile presa della comicità dissacrante. Allo sberleffo verso partiti troppo presi dallo loro beghe interne.

Eppure non si può «negare l’ufficio e l’importanza della politica nella vita dei popoli come degli individui», ammoniva il filosofo Benedetto Croce, citato recentemente da Napolitano. «Senza politica, nessun proposito, per nobile che sia, giunge alla sua pratica attuazione». Era il 1944, la nazione spaccata dalla guerra. Un alto richiamo alla responsabilità collettiva ancora attuale e inquietante nella MalaItalia divisa del 2013.

@VicinanzaL

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia