Giorgio Orsoni: "Ora dialogo per i progetti decisivi"

Champagne per l’avvocato, la strategia della calma ha convinto i veneziani
Giorgio Orsoni
Giorgio Orsoni
VENEZIA.
Abituato alle arringhe in tribunale, molto meno ai comizi e alle folle plaudenti, Giorgio Orsoni si deve esser accorto di colpo di quel che aveva fatto. Nel posto del sindaco, si era seduto l’ultima volta quasi per scherzo un anno fa, con la fascia tricolore, per celebrare il matrimonio di un amico. Ieri, qualche minuto dopo le 15, ha stappato la bottiglia di champagne ed è stato acclamato sindaco senza nemmeno bisogno del ballottaggio. Striscioni, bandiere, applausi, l’aula di Ca’ Loredan gremita. La moglie Agnese felice: «Secondo me chi l’ha conosciuto l’ha votato», dice. C’è anche Ugo Bergamo dell’Udc. Appena elogiato da Cacciari per il «ruolo fondamentale del centro». «Una vittoria che non è numerica ma politica», dice Bergamo, «la sinistra veneziana è stata molto leale, il merito è di Cacciari che ha avuto questa intuizione. Adesso aspettiamo che Brunetta ci riporti qui i suoi ministri».


Un sospiro di sollievo per lo «scampato pericolo», dopo la sconfitta in Provincia di un anno fa, dal popolo del centrosinistra. Nel pomeriggio Orsoni ha festeggiato in piazza Ferretto, con spritz e bigoli in salsa. In serata alla Fenice con la famiglia a sentire il concerto di Woody Allen e la sua band.


Venezia dunque resiste all’onda leghista. Inverte i pronostici e sbaraglia l’offensiva del governo di centrodestra. L’avvocato docente a Ca’ Foscari, procuratore di San Marco e per due anni assessore al Patrimonio della giunta Costa, è passato alla grande. Nove ministri calati in laguna, mezzi e presenze di Brunetta in tv molto superiori a quelle dell’avvocato. Testimonial di successo per il ministro del Pdl come Mara Venier, Marina Salamon, molti «ex» della Margherita passati dall’altra parte, a cominciare dall’assessore Mingardi. Sondaggi di Crespi che lo davano vincente al primo turno.


Tutto inutile. Alla fine l’ha vinta la calma olimpica dell’avvocato, 63 anni, barba bianca e studio professionale tra i più ricercati nel Veneto. Niente scontri, niente polemiche, niente comizi. Defilato ai limiti della scortesia quando se n’è andato a metà durante il discorso di D’Alema, non si è fatto vedere con la Bindi, presidente del Pd. Ha avuto ragione lui. Perché a Venezia, la città che da sempre domina sul «contado», ha pagato molto di più quel suo stare tra la gente senza strafare. Tanto che molti della coalizione lo reclamavano «un po’ più vivace». Alla fine sono stati più di diecimila i voti di differenza tra il candidato e la sua coalizione. Segno che insieme al «laboratorio politico» (l’inedita alleanza, unica in Italia, tra sinistra e Udc) e al calo della Lega a Venezia ha pesato anche la personalità del candidato.


A differenza di come appare, sempre mite e gentile, Orsoni sa bene il fatto suo anche dal punto di vista politico. Ha giocato in equilibrio per tutta la campagna elettorale, respingendo le domande insinuanti su chi sarebbero stati i nuovi assessori, sulla continuità e la discontinuità con la giunta Cacciari. Ha strizzato l’occhio al centro e ai moderati cattolici, senza trascurare il popolo della sinistra, che ha pur sempre un ruolo storico nella città d’acqua e di terraferma ed è stato determinante pe la sua vittoria.


Arriva in municipio accompagnato dallo staff e dalla moglie. Due consiglieri di Sinistra e Libertà lo accolgono roteando un rumoroso triccaballacche napoletano. «Buongiorno a tutti», attacca un filo emozionato, «in questi momenti è sempre difficile trovare le parole giuste. E’ una grande soddisfazione avercela fatta, spero che sia una cosa bella per la mia città». Emozionato? «Beh, un po’. Ma adesso pensiamo al futuro. Questa città ha bisogno di una guida tranquilla e sicura per portare avanti progetti che sono sempre stati un fiore all’occhiello».

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