E Galan s’arrabbia: «Mi dimetto»
Ritorno alle urne per lanciare una Dc veneta sul modello della Csu bavarese. In perfetta sincronia Venezia e Roma raccontano lo sfascio dell’attuale sistema politico e delle leadership di un paese in drammatica crisi
Giancarlo Galan
VENEZIA.
In perfetta sincronia, Venezia e Roma raccontano lo sfascio delle istituzioni, del sistema politico, delle leadersip di un paese in drammatica crisi. Mentre al Senato va in scena la sparatoria sul governo di Romano Prodi, a Palazzo Ferro-Fini la maggioranza di centrodestra implode. E dal governatore Giancarlo Galan con le nostre orecchie, non de relato, abbiamo sentito dire apertamente che lui è pronto a dimettersi, a portare il Veneto alle urne e a mettere fine alle sortite che vengono - soprattutto - dalla sponda degli alleati (?) leghisti e di Alleanza nazionale.
Galan non formula una ipotesi accademica, né semplicemente sull’onda di una arrabbiatura montante. Dichiara sempre più di frequente la sua alterità nei riguardi della cultura politica espressa dalla Lega, così come di An. Che Galan avesse un background drasticamente differente da quello di An era cosa nota. Ma fanno più specie le sue sottolineature di distanza nei confronti dei leghisti su temi cruciali come l’immigrazione.
Non può sfuggire che Galan alla manifestazione di Cittadella non solo non è andato, ma ha anzi manifestato forti perplessità sulle iniziative assunte dal fronte dei sindaci di ispirazione leghista.
Tutto questo per dire che non sorprenderebbe la rottura, da parte del governatore, di una alleanza di governo alquanto sfilacciata e visibilmente in questi giorni in fortissima tensione all’interno del parlamentino veneto. Galan dice che, dinanzi all’ostruzionismo attuato dalla sua stessa maggioranza, dinanzi a una legge Finanziaria fatta a fette e in ritardo di un mese, dinanzi all’impossibilità di convenire sulle scelte strategiche della legislatura, potrebbe dimettersi. Ne deriverebbe la chiusura anticipata della legislatura e la chiamata alle urne.
E qui viene in questione l’orizzonte cui guarda il governatore, sempre più tentato dall’idea di costruire un partito che potremmo per comodità chiamare «Forza Veneto», fortemente autonomo su base regionale e tuttavia federato in sede nazionale con il partito principe del centrodestra (che si chiami Forza Italia o Popolo delle libertà poco cambia, conta che a guidarlo sia Silvio Berlusconi). Galan si sta persuadendo, e lo afferma ormai di frequente al suo entourage più ristretto, che «Forza Veneto» potrebbe essere una risposta di stabilità per gli assetti politici regionali, con percentuali di adesione sensibilmente superiori al dato storico di Forza Italia. Del resto non è una tesi innovativa, posto che già un tizio di nome Toni Bisaglia pensava a una Dc veneta federata con il partito nazionale dello scudocrociato. Il modello è noto e richiama il rapporto tra Csu bavarese e Cdu tedesca.
I prossimi giorni saranno decisivi. L’incontro a casa del segretario regionale forzista Ghedini con i leader di An, Lega e Udc non ha portato a un bel nulla. Pareva la pace, dopo lo scontro generato dalle nomine galaniane per i direttori generali delle Aziende sanitarie. La pace è durata lo spazio di una dichiarazione ai giornali, perché a Palazzo Ferro-Fini è subito ripartita la guerriglia e il gioco di tutti contro tutti. La maggioranza è evidentemente in panne. Tocca al governatore trovare le ragioni di una leadership e farla rispettare ai suoi riottosi alleati, oppure prendere atto della caduta del patto e della sfida a lui lanciata. E chiedere il giudizio dei veneti.
Di sicuro, la mossa troverebbe impreparato e a pezzi il centrosinistra. Di sicuro Galan non mancherebbe di ricandidarsi, perché lui dice che di andare a Roma non gli importa nulla. Nemmeno a fare il ministro di un redivivo premier Berlusconi Silvio.
(
di Paolo Possamai
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