Due veneziani in India «Siamo sfuggiti all'inferno»
Maria Cristina Moreschi, lavora all'Ufficio Comunicazione del Teatro Toniolo e vive a Mirano, e il suo compagno, Luca Geri, sono due veneziani appena tornati dall'India. Hanno vissuto l'inferno della frana nella vallata di Ladakh. Circa 200 italiani sono ancora bloccati lì, mentre le vittime accertate sono 165 e tra loro c'è un italiano, un ragazzo di Torino. Ecco il loro racconto
disastro nella vallata del Ladakh in India
VENEZIA
. Lei è Maria Cristina Moreschi, lavora all'Ufficio Comunicazione del Teatro Toniolo e vive a Mirano. Lui è il suo compagno, Luca Geri. Hanno vissuto l'inferno della frana nella vallata di Ladakh, in India. Sono tra i pochissimi fortunati che tornati in Italia: 200 connazionali sono ancora bloccati lì, mentre le vittime accertate sono 165 e tra loro c'è un italiano.
Tra il prima e il dopo c'è sempre una sensazione: può essere una musica, un colore, un odore. E' qualcosa che ti scava nell'anima e sarà legata per sempre a quel momento, e solo a quello. Per Maria Cristina Moreschi sono le nuvole - improvvise, inquiete, bellissime e spaventose, soprattutto nere come l'inchiostro - venute a macchiare un cielo che fino a un attimo prima era turchese. Era il pomeriggio di giovedì 5 agosto.
«Noi non avremmo nemmeno dovuto essere lì, a Leh - racconta - E' una città doppia, la parte alta è del tutto turistica, con alberghi, negozietti, ristorantini. Sotto, c'è la parte abitata dai residenti. Il mio compagno e io, secondo il piano di viaggio, avremmo dovuto essere nel Kashimir, ma proprio un giorno prima della partenza c'era stata una rivolta, era partito uno sparo, un ragazzo era rimasto ucciso. Insomma, era piena guerriglia: i rappresentanti locali del nostro tour operator ci hanno consigliato di tagliare quella parte del viaggio».
Un giorno in più a Leh, poi un giorno in più a Dehli aspettando l'aereo per il ritorno: «Fino a quel momento, era stato un viaggio bellissimo. Nessun rischio dichiarato in partenza, certo la stagione è monsonica ma i viaggi li fai quando hai le ferie, e noi le ferie le abbiamo adesso». Un viaggio di tre settimane, appoggiato a un tour operator, organizzato da un'agenzia di Padova, ma non in gruppo. Perfetto fino alle nuvole nere.
«Era uno spettacolo angosciante e insieme bellissimo: anch'io, come tanti altri, sono salita su un tetto per scattare delle foto». Verso le dieci di sera, una raffica di lampi: «Anche questi stranissimi. Sembrava una luce a intermittenza. E subito dopo la pioggia, scrosciante, un fiume. Al punto che abbiamo messo asciugamani sotto le finestre. Ma ci siamo addormentati senza problemi».
Solo la mattina dopo, scendendo a colazione, Maria Cristina Moreschi e Luca Geri precipitano nel lutto: «Ci hanno detto che era successa una tragedia. Guardando fuori ci siamo accorti che dell'animazione consueta non c'era traccia. Tutto chiuso, nessuno lungo le stradine. Siamo usciti, per capire». Fuori, in basso, il disastro: «Il fango copriva le auto, arrivava a metà delle fiancate degli autobus. Nel mare di fango, senza un minimo di soccorsi organizzati, la gente scavava con le mani, con le pale prese da casa. I turisti, in piedi nel fango, aiutavano come potevano. Ogni tanto, qualcuno veniva tirato fuori vivo, caricato sul cassone di un pick-up e portato via. Ma era tutto così surreale, senza coordinamento, che non riuscivamo nemmeno a capire la reale portata del disastro».
Verso sera, ed è il 6 agosto, si sparge una voce: «Dicevano che uno smottamento avrebbe fatto crollare anche la parte alta del paese. Abbiamo dormito, si fa per dire, vestiti e con gli zainetti accanto, pronti a fuggire». Il giorno dopo, i due veneziani vanno all'aeroporto: «Arrivati il 18 luglio, avevamo comunque il biglietto per partire. Ma quando siamo arrivati in aeroporto, e c'erano già trecento persone che in qualche modo cercavano di lasciare il Paese, ci hanno detto che potevano anche andarcene: non sarebbe arrivato né partito alcun aereo».
Abbandonati a se stessi, con gli sportelli Air India addirittura chiusi, molti turisti ripiegano e tornano in una Leh ormai fantasma: niente cibo, niente luce. «Noi, non so per quale intuizione, abbiamo deciso di restare. E poco dopo sono arrivati tre aerei. Uno era Air India, il nostro: siamo balzati a bordo». Solo quando i portelloni si sono chiusi, Maria Cristina Moreschi si è resa conto: «L'aereo stava partendo mezzo vuoto. Con la gente disperata che faceva di tutto per scappare, sono riusciti a mandarli via dall'aeroporto, a lasciarli incastrati lì».
Solo a Dehli i due veneziani, guardando la tv in albergo, hanno avuto la misura del disastro: «Ma i nostri connazionali e tutti gli altri stranieri sono davvero in trappola. Noi siamo partiti per fortuna e testardaggine, ma loro come faranno? Lì manca ogni minima organizzazione». Con un problema in più: «Ci hanno detto che chiunque tenti di comprare un biglietto aereo si vede rifiutare le carte di credito. Accettano solo contanti, ma non si riesce più a cambiare. E' un vero disastro». Un elogio alla Farnesina: «Avevamo compilato la scheda prima di partire. In tempo reale i miei genitori sono stati avvisati, gli è stato dato un numero che avrei dovuto chiamare se fossi riuscita a sentirli. In realtà da lì le comunicazioni erano difficilissime, era saltato anche internet e sono riuscita per miracolo a mandare un brevissimo messaggio. Appena rincasati, l'Unità di Crisi l'ho chiamata io, per farmi togliere dalla lista degli italiani intrappolati».
L'anno scorso, una indimenticabile vacanza in India. Quest'anno, purtroppo anche. E il prossimo? Moreschi e Geri non lo sanno. Per decidere, devono andarsene le nuvole.
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