Costa: "Così perdiamo autorevolezza"
L’atto d’accusa dell'ex-sindaco in una lettera al Pd: resto fuori per il mio ruolo a Vicenza e per il porto di Venezia
Ecco qui di seguito ampi stralci della lettera-rinuncia inviata dall’on. Paolo Costa al segretario regionale del PD Paolo Giaretta. Nella missiva il deputato europeo uscente, e presidente dell’Autorità portuale di Venezia, annuncia con garbata polemica la propria volontà di non ricandidarsi alle elezioni europee di giugno dopo che lo stesso Pd veneto lo aveva escluso dalla pre-lista dei candidati.
Caro Paolo,
credo che dopo le decisioni, quelle dette e quelle non dette, prese dall’esecutivo veneto del Pd circa le candidature alle elezioni per il Parlamento europeo del prossimo giugno non sussista più alcuna ragione perché io mantenga la disponibilità per un terzo mandato a Strasburgo e Bruxelles. Prendo atto di una linea politica - che non mi trova d’accordo - che porta ad affrontare le Europee senza alcun sostanziale interesse per l’Europa e le sue istituzioni; a non preoccuparsi granché della qualità della rappresentanza al Parlamento europeo visto che «lì non si deve dare la fiducia ad alcun governo».
In questa prospettiva, che detta inevitabilmente criteri di formazione della squadra totalmente indifferenti alle caratteristiche della partita da giocare, diventerebbe patetico insistere su una offerta di competenza ed autorevolezza europea da mettere al servizio del Paese tramite il Pd. Alle dimissioni dal Parlamento europeo avevo, per la verità, pensato fin dalla scorsa primavera, al momento del perfezionamento della mia nomina a presidente dell’Autorità Portuale di Venezia. Vi avevo soprasseduto per non andarmi ad aggiungere alla lunga lista di parlamentari europei eletti in Italia che avevano abbandonato il Parlamento europeo anzitempo (facendo scendere sotto i tacchi la credibilità e l’incisività delle nostre delegazioni) e, soprattutto, per impegni che mi ero preso come presidente della Commissione parlamentare Trasporti e Turismo con le Presidenze di turno, slovena, francese e ceca, di portare a buon fine provvedimenti legislativi di grande portata (dalla sicurezza marittima all’eurovignette, dalla interoperabilità ferroviaria al terzo pacchetto sull’autotrasporto fino agli slot aeroportuali, ai quali sto ancora lavorando)...
...Tutti temi dei quali avremmo potuto utilmente discutere, anche al fine del perfezionamento del messaggio elettorale, se l’esecutivo regionale avesse sentito l’esigenza di organizzare anche un solo incontro sull’argomento. Poi con l’avvicinarsi delle nuove elezioni e con l’aumentare della consapevolezza della drammatica estraneità dei temi europei dalla politica italiana si erano andate coagulando tra i parlamentari uscenti due forme di reazione: quella rappresentata da Donata Gottardi nella sua lettera di rinuncia alla ricandidatura, e quella, la mia, di far fruttare l’investimento che rappresentavamo per il Paese e per il Pd, dichiarandoci pronti a guidare, alla tedesca, una nidiata di nuove presenze - che finalmente si era deciso fossero presenze vere e dedicate - da far divenire le grandi competenze europee di domani. Nessuna pretesa naturalmente, ma solo la consapevolezza di poter essere utili se veramente si cercavano «persone di grande competenza sulle questioni europee» che secondo il regolamento del Pd dovranno fungere da capilista nelle diverse circoscrizioni.
Aveva ragione Donata. Avrei dovuto capirlo dalla facilità con la quale si è liquidata la questione Gottardi; dal modo con il quale si è accettato senza batter ciglio la sua rinuncia a ricandidarsi, senza fermarsi a leggere tra le righe della sua lettera l’atto d’accusa alla nostra insipienza, alla nostra incapacità di valorizzare la politica europea. Non posso non dolermi della spensieratezza con la quale, con Donata, si butta via una delle più promettenti capacità di presenza europea, miracolosamente formatasi in poco tempo. Insomma buttiamo le competenze e rischiamo di andare al confronto elettorale muniti solo di messaggi di circostanza che raccoglieremo all’ultimo momento facendo ricorso alla retorica europea del nostro partito. Eppure, quanto avremmo di “europeo” da dire per affrontare in modo “riformista” la questione settentrionale!
Per noi, Nordest, Veneto, le elezioni europee sono molto di più di un secondo turno delle elezioni politiche. Se volessimo finalmente smetterla di inseguire la Lega su una interpretazione piagnona e rivendicazionista della questione settentrionale, della questione del Nordest, della questione veneta, se volessimo capire che la questione settentrionale si risolve soltanto riprendendo quel cammino di modernizzazione dell’intero Paese che una forza riformista dovrebbe perseguire come suo scopo primario, constateremmo che senza un nuovo aggancio all’Europa, alle regole dell’Europa, non ci sarà modernizzazione e riallineamento competitivo economico e culturale del Nord e quindi dell’intera Italia...
...Prediche oggi inutili; ma che mi ostino a pensare debbano essere riprese se e soprattutto poste a base di una nuova e diversa politica, pena l’estinzione del riformismo democratico. Ma ci nasconderemmo, tu ed io, dietro a un dito se non affrontassimo anche altri due temi, che mi riguardano purtroppo direttamente, ma che esigono di essere qui affrontati per evitare equivoci drammatici circa i valori civili del nostro agire politico. Mi debbo riferire alle dichiarazioni ricorrenti, che nessuno ha smentito evidentemente perché non poteva smentire, relative alla «inopportunità» che il Partito democratico si presentasse alle prossime europee con la mia faccia; e questo per aver avuto io un ruolo attivo per la realizzazione all’allargamento della base militare americana a Vicenza e per aver accettato la nomina bipartisan al porto di Venezia.
Non ho nulla da dire a mia «discolpa», anzi. Nel Partito democratico che a parole e diciamo di volere, nel partito nuovo «determinato ad affrontare il nodo che sta soffocando il Paese: la mancanza di una democrazia forte, in grado di decidere» (Manifesto dei valori, 1, 6) e che per questo «esige che vengano assicurati la leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, la protezione nel tempo delle decisioni istituzionalmente condivise e regole di soluzione dei conflitti che chiariscano i limiti di esercizio della democrazia di prossimità e restituiscano al governo nazionale l’autorevolezza e l’autorità necessarie sulle questioni di prevalente interesse per l’intero Paese» (Manifesto dei valori, 3,4), nel partito capace di esaltare il ruolo delle istituzioni come argine alla prepotenza partitica o personale, in quel partito che vorremmo i due casi dovrebbero, anzi devono, essere segnati a mio merito.
A Vicenza su invito del «nostro» governo mi sono assunto l’onere di difendere la credibilità del Paese nei confronti degli Stati Uniti consentendogli di mantenere le parole date da esponenti di governo di centro-destra, l’altro ieri e oggi, ma anche da Prodi, D’Alema, Parisi e per tutti dal presidente Napolitano, e di averlo fatto facendo pagare alla Vicenza che non si accontentava dell’orgoglio del servizio reso all’Italia il minor costo possibile - sfruttando allo scopo le indicazioni e i suggerimenti anche degli amici del partito democratico che oggi sembrano essersene dimenticati - e creando le condizioni per compensazioni significative che farò di tutto affinché non si perdano, nonostante l’atteggiamento masochistico che continua a serpeggiare in parte della città.
A Venezia poi ho solo accettato di essere valutato da «esperto di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale» come la legge richiede per i presidenti di autorità portuale - una competenza che c’è o non c’è e non è né di destra né di sinistra -. È vero che la proposta è venuta da Galan, ma è altrettanto vero che l’ho accettata solo dopo esserne stato espressamente autorizzato da Prodi e dal ministro Bianchi (salvo suoi ripensamenti dell’ultima ora poco consoni a un vero ministro) e che la stessa era stata formulata per risolvere il pasticcio prodottosi per l’incapacità delle amministrazioni locali di trovare una diversa soluzione condivisa con la Regione...
.....Il rispetto delle regole e dei ruoli istituzionali, quel tratto civile che distingue le società democratiche serie dalle società cialtrone e che è essenziale per arrivare finalmente a disporre di una democrazia efficiente e, in quanto tale e giusta, è o non è un valore che il Pd Veneto fa proprio? La domanda non è banale e non può sopportare le risposte ambigue fatte trapelare in questi giorni. Legittimerebbe, altrimenti, in molti domande di fondo sui valori che spiegano il nostro stare assieme dentro il Pd del Veneto.
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