Cooperante veneto detenuto a Caracas, Tajani manda il console in visita al carcere
La Farnesina applica la strategia usata in altri casi analoghi. Raccolte 17.500 firme per la liberazione del connazionale. Alberto Trentini voleva dimettersi dal lavoro nella Ong
La diplomazia si è messa in moto per ottenere, quanto prima, la liberazione di Alberto Trentini. La strategia della Farnesina per arrivare alla scarcerazione del 45enne cooperante veneziano, arrestato il 15 novembre scorso, è la stessa messa in campo nei recenti casi di Alessia Piperno e Cecilia Sala, entrambe detenute nel carcere di Evin a Teheran.
L’auspicio è che, come per i casi della travel blogger e della giornalista, la soluzione possa arrivare in tempi rapidi. Anche se i rapporti ormai logori tra Venezuela e Italia, dopo il mancato riconoscimento della vittoria del presidente Maduro accusata di brogli elettorali, rendono la strada impervia.
Il console in vista in carcere
Il 16 gennaio il ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, ha ufficialmente chiesto una visita consolare nel carcere dove è detenuto Trentini, così da poter monitorare da vicino le condizioni di prigionia e di salute. «L’Italia sta lavorando sin dall’arresto per la liberazione di Trentini», le parole di Tajani alle agenzie durante un punto stampa alla Farnesina, «ci sono altri italo-venezuelani nelle carceri del Paese, otto in tutto».
Mercoledì 15, intanto, nell’incontro con l’incaricato d’affari di Caracas i rappresentanti della diplomazia italiano hanno ribadito «la richiesta di liberazione del nostro concittadino e di tutti gli altri prigionieri politici»: «Ci è stato confermato che è detenuto», aggiunge il responsabile della Farnesina, «abbiamo chiesto che venga trattato nel rispetto delle regole e abbiamo chiesto una visita consolare. Lavoriamo in tutti i modi per venire a capo di questa situazione».
Governo al lavoro
Come già avvenuto nel caso della giornalista Cecilia Sala, il governo continua a lavorare sotto traccia “senza clamore e polemiche” per Alberto Trentini, «con la determinazione necessaria per raggiungere questo obiettivo, prima per verificare le condizioni di salute e poi fare in modo che possa essere liberato»: «Come abbiamo chiesto discrezione e moderazione per Piperno e Sala, la chiediamo anche per questo caso», conclude Tajani.
Con il passare delle ore, però, l’angoscia di familiari e conoscenti per l’incolumità del cooperante si fa sempre più insopportabile. Chiusi nel loro appartamento di Città Giardino, quartiere residenziale del Lido di Venezia, i genitori in questi giorni hanno ricevuto telefonate di vicinanza e solidarietà da parte della comunità isolana.
Firme per la liberazione
Nei social e su internet aumenta di giorni in giorno il numero di testimonianze a sostegno di Trentini, così come le firme (siamo a 17. 500) raccolte online dagli amici più stretti a favore della sua liberazione e gli appelli rilanciati, quotidianamente, dall’associazione Articolo 21. La speranza è che, una volta diventata di dominio pubblico, la vicenda possa sbrogliarsi in tempi rapidi. La cautela, però, è ancora indispensabile. E come suggerito dalla Farnesina, la famiglia (rappresentata dall’avvocato Alessandra Ballerini) continua a evitare di esporsi. Ufficialmente, del resto, nessuna comunicazione ufficiale né capo d’accusa è arrivata dalla Procura di Caracas.
Il 45enne cooperante veneziano – con alle spalle anni di lavoro umanitario in giro per il mondo – si trovava in Venezuela dal 17 ottobre 2024 per una missione con la Ong francese Humanity e Inclusion, che si occupa di portare aiuti umanitari alle persone in situazioni di povertà, esclusione, conflitto e disastri.
Fin da subito, aveva raccontato alla sua compagna di aver incontrato ostilità in ogni aeroporto quando viaggiava tra l’Amazzonia e Caracas. Un giorno prima dell’arresto, con un messaggio su WhatsApp, le aveva detto che intendeva dimettersi dalla ong per cui lavorava.
Il giorno dopo, l’arresto a Guasdualito, al confine con la Colombia, nello stato meridionale di Apure, regione dalla quale provengono diversi detenuti stranieri che lavorano per ong accusati di essere spie o mercenari (tra cui un altro detenuto straniero del Danish Refugees Council, presso il quale Trentini aveva lavorato in passato). A nulla è valso il regolare permesso di lavoro umanitario di Trentini prodotto dalla ong Humanity and Inclusion. —
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