"C’è del buono, dobbiamo mostrarlo"

Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord Est, commenta le reazioni del forum. «I luoghi comuni ci inseguono e vanno sfatati cambiando il modo di comunicare» 
MESTRE. «Non siamo così, è evidente. Il problema è farlo sapere». Daniele Marini, docente all'Università di Padova, è il direttore scientifico della Fondazione Nord Est, l'organismo che analizza in modo organico e, appunto, scientifico la realtà di un territorio che, nella sua storia recente, ha seguito un percorso senza precedente.


Dottor Marini, lei ha letto nel forum il giudizio degli italiani nei confronti dei veneti
«Mi sembra che gli ultimi interventi tendano a mitigare l'attacco iniziale, e tuttavia direi che gli ultimi provengano soprattutto dal Veneto, quindi quelli che dobbiamo analizzare sono gli altri. Gli italiani ci vedono così, è un dato di fatto».

Ma non è una bella cosa
«Non lo è affatto. Il problema è che nel Veneto c'è moltissimo di buono, e non parlo solo in termini di produzione. Parlo anche e soprattutto di volontariato, di impegno, di integrazione. Solo che tutto questo, ancora oggi, non fa notizia. Non a livello nazionale. Così, per chi ci guarda da lontano, noi siamo fenomeni».

Un esempio
«I giornali nazionali sono pieni della storia del sindaco di Verona Tosi che toglie dallo studio l'immagine di Napolitano, ma altrettanto spazio non è riservato a Civitas, il più grande salone nazionale del volontariato, che si tiene a Padova. Un altro esempio: pagine e pagine su via Anelli, ma di San Pietro Mussolino non parla nessuno».

Perché si dovrebbe?
«Perché in questo paese, che è vicino ad Arzignano, il 20 per cento della popolazione è costituita da immigrati che lavorano. Mi pare una notizia, no?».

Indubbiamente. Forse si comunica poco
«Questo è sempre stato il limite del Nordest: agli imprenditori è sempre interessato più produrre che far sapere. Forse è arrivato il momento di curare anche l'immagine. Dobbiamo prendere atto che all'esterno siamo percepiti così, ma possiamo iniziare proprio da qui a esporre in modo chiaro e preciso quello che siamo. Dobbiamo imporci come un'area capace di esprimere la propria progettualità».

Via dai luoghi comuni
«C'è ancora chi pensa che qui i ragazzi lasciano la scuola a 13 anni per andare nella fabbrica del padre: stereotipi duri a morire, ma da combattere».

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