Brugnaro: «Non riesco a comprendere le accuse, ma risponderemo punto per punto»
Il sindaco di Venezia, all’indomani della conferma della Procura dell’accusa di corruzione, ribadisce la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati

«Finalmente martedì vedrò le carte e cercherò di capire, per quello che mi riguarda, quali sono le prove. Io, fino a desso, ho visto la testimonianza di Claudio Vanin, che ho incontrato tre volte, e il pezzo di filmato in cui mi si vede mostrare le mie proprietà, con grande orgoglio. Non riesco a comprendere. Ma risponderemo punto su punto sulle singole accuse».
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, all’indomani della conferma della Procura dell’accusa di corruzione, ribadisce la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati, a cominciare dai legami con l’ex assessore Renato Boraso: «Ci sono due filoni d’inchiesta, hanno scritto gli stessi procuratori che non c’entro niente con tutte le questioni legate a Boraso: non c’è la “Palude”, quale palude? Il Comune è sano e resta sano, i dirigenti vanno difesi».
Il primo cittadino si dice anche convinto della tenuta della maggioranza di Ca’ Farsetti: «Per come la penso io l’inchiesta non può influenzarne la tenuta, ma questo va chiesto a ogni componente. Chiaro che a me dispiace coinvolgerli in tutta questa storia, ma non posso farci niente: mi difenderò in aula, non posso certo farmi in tre. Io non mollerò».
Il riferimento è alla richiesta di dimissioni ribadita ancora una volta dalle opposizioni: «Anche questo clima che cercano di creare, che magari va a influenzare le persone che non sanno fino in fondo, che sentono solo quello, mi dispiace molto. E poi sono sei mesi, sei mesi di stampa avversa, come ho ricevuto io, non li auguro a nessuno. A 63 anni ricevere un trattamento così infamante è un grande dolore. Forse c’è un disegno: qualcuno più in alto di me ha deciso che deve andare così».
Per Brugnaro gli episodi contestati sono due, strettamente collegati nelle ipotesi dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini: il tentativo di vendere i terreni dei Pili e la cessione di palazzo Poerio Papadopoli a prezzo di favore, sempre al magnate di Singapore Chiat Kwong Ching: «Non c’è stata assolutamente nessuna forzatura per la vendita dei Pili. Ma quale vendita? Io compro, non ho mai venduto niente in vita mia. Per quanto mi riguarda, no. Poi che l’azienda decida e abbia gestito l’area è doveroso, infatti i pm non hanno contestato niente alla società. Mi si contesta di aver detto di un’area che è edificabile – tantissimo, tra l’altro – di averla voluta addirittura raddoppiare, con dei progetti brutti: guardateli sui giornali, io sono architetto, vi pare che possa far passare un progetto del genere? No. Quando io ho visto questa roba qua ho detto no, non se ne parla proprio. Di tutto il resto non ne sapevo nulla. Non ho firmato un atto, non ho mai neanche accennato ai Pili nelle riunioni di gruppo, mai ne ho parlato negli uffici comunali».
E su palazzo Papadopoli? «Non parliamone: una proprietà che era in vendita da anni e veniva lasciata là, sono state fatte due aste andate deserte. Quando è arrivato Ching ho detto mettiamola sul piatto. Ma non solo con lui, la proponevo a tutti quanti: dovevamo salvare i bilanci. Io pensavo che mi dessero una medaglia per averlo venduto. È stata fatta una perizia, è stata fatta un’asta, l’abbiamo venduto. Questa è la logica».
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