Brucia ma non si infiammaè la mostra dell'equilibrio

Uno, due, tre, schienati tutti, vince Mickey. Chapeau alla vittoria di un uomo, un attore, un lott-attore che ha prevalso sul suo stesso film e sugli altri. Perché la vittoria di The Wrestler di Darren Aronofsky deve moltissimo a Rourke, al di là dei meriti specifici di un film cui interessa solo parlare del suo eroe. Anche a causa dell’esiguità delle opere proponibili per un premio, il palmarès è consivisibile. Resta fuori il cinema italiano, cui va la Coppa Volpi di Silvio Orlando, bravo Papà di Giovanna, ma che non prende alcun riconoscimento specifico per i film.


Bene il gran premio speciale della giuria a Teza di Haile Gerima, capace di depositare la fresca rugiada del titolo nell’Etiopia disperata, lì dove bruciano la terra e la mente degli uomini, dilaniati da guerre fratricide. Bene anche il Leone d’argento al russo, elegiaco ed algido, Soldati di carta di Aleksey German jr. Meno bene aver tralasciato Vegas di Amir Naderi, mentre uno dei simboli di questa Mostra, The burning plain, ha visto premiate non le grandi attrici o la sceneggiatura, ma l’emergente Jennifer Lawrence, la vera causa del rogo del film di Arriaga, premio Mastroianni.


Anche la Mostra brucia. Brucia con le speranze dei molti che non hanno vinto nulla e di quelli che speravano di vedere qualcosa di meglio; brucia nell’anima dei protagonisti e nei luoghi, nell’inferno delle guerre e nei sud del mondo, nelle psicologie distorte dalla gelosia e dalle tante follie collettive e individuali che rovinano le esistenze. La terra brucia in Iraq e nel Mato Grosso, in Etiopia e in Algeria; ma le menti dei singoli bruciano molto più vicino a noi. Bruciano sino a incendiarsi, senza speranza, come nel caso del Wrestler di Rourke, le follie dei personaggi di Ozpetek, Avati e della coppa Volpi Dominique Blanc bravissima in L’autre.


Brucia la Mostra, ma non avvampa: alla fine un buon terzo dei film è discreto, contro la metà degli scorsi anni. Ogni stagione ha il suo vino e la qualità non è sempre la stessa. A volte la 65a Mostra è parsa infiammarsi, ma non ardere, ha mostrato belle cose, ma non sempre con passione. Quella stessa passione che invece ha fatto vedere pur un piccolo film, come il leone opera prima, l’italiano Pranzo di Ferragosto di Gianni Di Gregorio, un po’ sopravvalutato, ma segno di una passione umana e civile ragguardevole, di casa nella Settimana della Critica. Quella stessa passione che anima Bechis e che invece a volte i nostri cineasti non tirano fuori al momento giusto. Così è successo anche a Venezia quest’anno: il programma, in particolare il concorso, non è sembrato rispondere a un’idea complessiva forte, non ha sempre mostrato il coraggio che pure Marco Müller aveva suggerito negli anni scorsi, andando a scovare nomi e film meno conosciuti nelle sue perlustrazioni mondiali.


E’ mancata la passione e la presenza dei giovani e questa purtroppo non è una novità. Ma sono mancate anche alcune piccole soluzioni che avrebbero potuto accattivare le simpatie del popolo degli accreditati, recuperando la sezione di Mezzanotte, magari mettendoci qualche bel film dell’interessante retrospettiva, a ingresso libero (sono tutti film di cineteca), con l’intento di far conoscere i nostri tesori. L’idea di cinema che è emersa è apparsa così più elitaria di un tempo, cosa pericolosa dato che il pubblico già bolla come pesanti le scelte della critica. A un altr’anno dunque, pronti a farci ardere dall’insana passione della cinefilia.

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