Basso, il figlio politico di Gentilini: «Maestro senza eredi»

L’ex assessore: «Mi ha insegnato tutto e con lui si lavorava 12 ore al giorno. Oggi non potrebbe essere come nel ’94»

Federico Cipolla
Giancarlo Gentilini a fianco al suo assessore ai lavori pubblici Giuseppe Basso e Enrico Renosto
Giancarlo Gentilini a fianco al suo assessore ai lavori pubblici Giuseppe Basso e Enrico Renosto

«A metà degli anni ’90 lavoravo per Manila Viaggi. Avevamo l’ufficio in quella che ora è una stanza dell’Odeon. Sentivo il suo vocione passare, mentre andava con l’ingegnere Vianello a ponte San Francesco per il restauro. Mi prendevo la pausa caffè, uscivo dall’ufficio e li seguivo per ascoltare e capire cosa facevano. Così mi sono innamorato di questa figura».

Bepi Basso conosceva già Gentilini, ma era solo il papà di due amici; poi da presidente della circoscrizione E Sud aveva cominciato a misurarne l’efficienza sui lavori pubblici.

«Il mio esordio con lui fu una visita in municipio, nel ’95 mi pare. Da presidente della circoscrizione andai a trovarlo in municipio e gli dissi che in via San Zeno non si riusciva a camminare sui marciapiedi, gli anziani inciampavano, rischiavano di cadere. Tempo due mesi, al massimo tre, arrivarono gli operai, tagliarono gli alberi, fecero la fognatura, sistemarono strada e marciapiedi. Erano altri anni, i Comuni avevano soldi, ma questo era Gentilini», prosegue Basso.

Era il suo figlio politico e forse col passare degli anni è diventato il suo fratello politico, «ultimamente era nostalgico, mi diceva “mi e ti semo gli ultimi romantici del ’94”».

Il primo e il secondo Genti

Ma anche lo sceriffo da quel debutto dirompente era cambiato, «sul rispetto della legge, sui valori dio, patria e famiglia era ancora intransigente. Ma aveva imparato negli anni a essere diplomatico, si era smussato, le frasi come quella sulla pulizia etnica non facevano più parte di lui. Non gliele ho mai più sentite pronunciare, nemmeno in privato. Ma tutto è cambiato, oggi Gentilini non potrebbe essere lo stesso del ’94, nessuno potrebbe esserlo. E sono certo che in questi anni nemmeno lui abbia mai riconosciuto in altri un vero e proprio erede. Persone di cui aveva stima ce sono chiaramente. Ma non ha mai visto un altro Gentilini».

Le frasi razziste

Quei discorsi, e quelle frasi razziste finite anche per causargli dei guai con la giustizia erano per Basso strategia.

«Si faceva prendere dal discorso, dalle persone, e poi provocava. Ma in realtà Gentilini era un buono, e non ce l’aveva con gli stranieri. Nel suo condominio viveva una famiglia di immigrati, il bimbo era spesso a casa sua, e so che quando avevano bisogno gli allungava qualcosa per aiutarli».

Le riunioni all’alba

Basso dopo la gavetta in circoscrizione, e un mandato da consigliere, è stato assessore ai lavori pubblici nella giunta Gobbo, con Gentilini vice.

«Lui scientemente mi ha voluto insegnare tanto. Alle 7.30 della mattina si faceva la prima riunione con lui, geometri e dirigenti. Chiedeva tutto, cos’avevano fatto il giorno prima e cosa dovevano fare quel giorno. Si stava in municipio a lavorare 12 ore».

E anche per i dipendenti non era sempre semplice lavorare con il fiato sul collo, «un giorno andò dal geometra Bellina: «G’ho bisogno che te asfalti na strada». «No se pol far desso, no taca», gli ha risposto il geometra. Ma Gentilini insisteva. Bellina si è girato, ha lanciato di quegli improperi... e se n’è andato. Dopo poco però ha iniziato i lavori, e ha asfaltato via Fossaggera a febbraio. Quell’asfalto è ancora lì. Anche con gli operai era così, magari gli dava qualche calcio sugli stinchi, poi gli portava le birre fresche in cantiere».

Ubi maior minor cessat

Anche con Basso non sono mancati i contrasti, «avevamo un rapporto schietto, e lo apprezzava. Sapeva che io non parlavo di lui con altri, quello che avevo da dire glielo dicevo. Ci si scontrava, poi quando si doveva decidere diceva “ubi maior, minor cessat”. Lo ripeteva spesso, ho dovuto impararlo».

Un errore? Un’opera pubblica da non fare o da fare diversamente? Impossibile per Basso trovare un vizio. Nemmeno quella candidatura del 2013 che lo portò a perdere la sfida elettorale con Giovanni Manildo, «non fu un sacrificio, ci credeva. E sarebbe bastato poco per vincere anche quella volta».

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