Belluno vuole diventare regione
Raccolte 16.500 firme per costituire Dolomitia con Trentino e Alto Adige
Le «Dolomiti» al salone del Bit di Milano, a sinistra il confine regionale del passo Sella
BELLUNO.
Nell'Italia del Censis senza desideri, abulica e afflitta da spleen esistenziale, il desiderio è ancora possibile se tascabile, confinario e, badaben, soprattutto migratorio. Nasce dalla grande delusione secessionista, figlia prolifico e viaggia sulle ali dello strumento referendario, mobilita i comuni, elettrizza il più stanco degli elettori. Lamon, Sovramonte, Colle, Cortina che da Belluno vogliono andare a Trento, Asiago anche, il veneziano Cintocamaggiore che chiede l'annessione con il Friuli, Sappada che vuole il contrario. Per dire solo dei nostri, l'epidemia infatti è nazionale: il Salento - tacco d'Italia - indice un referendum per separarsi dalla Puglia. In Piemonte Noasca intende annettersi alla Val d'Aosta, in Campania Savignano Irpino vuole diventare pugliese e non ce l'ha fa al contrario della pesarese Valmarecchia diventata riminense, unico caso finora registrato in Italia di secessione provinciale di successo.
E adesso? Adesso piccoli sogni crescono, migrare non basta, si vuole la regione confezionata su misura. Belluno e un'intera provincia si sono svegliate dal sonno della politica: un apposito comitato ha raccolto 16.500 firme in due mesi, firme rastrellate nelle valli e nei paesi ma anche nel capoluogo che, consegnate l'altro ieri al presidente del consiglio provinciale Stefano Ghezze, hanno dato la sveglia alle segreterie. Non vi si chiede l'annessione a un qualsiasi Trentino Alto Adige ma la creazione di una nuova regione dolomitica a cui sono naturalmente invitate le suddette e pregiatissime sorelle autonome. Contrappasso leghista o cattiva digestione qualcosa sta succedendo. «Giornata memorabile - affermava il portavoce del Comitato Moreno Broccon - la battaglia è di tutti, storica e trasversale». «Altro che sogno, è nato il movimento politico più importante del Bellunese» esultavano i promotori varcando il portone di palazzo Piloni per la consegna del pacco petizionale. «Abbiamo bisogno di progettare il nostro futuro - aggiungeva Debora Calchera, 27 anni, referente del comitato per la val Zoldana e rassicurava - non siamo ostili a Roma e a Venezia ma solo una comunità forte può sopravvivere in un momento come questo».
Molte cose stanno franando a Belluno e per molti motivi: l'ex sindaco Fistarol lascia il Pd e passa con i terzisti finirutelcasiniani, un Pd terrorizzato corre a sostenere i patrioti della nuova regione Dolomia o Dolomitia che di si voglia, nessuno resta insensibile, persino gli uomini della Lega e del Pdl fanno gli occhi dolci.
Nunzio Gorza, consigliere provinciale leghista: «Ho sempre sostenuto le proposte che con forza arrivano dal territorio», Silvano Martini del Pdl non si nega: «Ho sempe creduto nell'autononia del territorio Bellunese».
Sedicimila firme in un bacino di 190 mila iscritti alle liste elettorali non sono poche, più delle 6 mila che nell'80, in tempi meno eccitati, raccolse il pioniere dell'autonomismo Paolo Bampo. «Dateci i soldi che Trento e Bolzano possono tenersi in casa e vedrete che certe caldane secessioniste passano in fretta - spiega il presidente provinciale Gianpaolo Bottacin - come vedreste presto risalire la classifica della qualita della vita in provincia stilata da Legambiente». Belluno è precipitata al decimo posto, Trento e Bolzano stanno in vetta.
Il Partito Democratico bellunese riunitosi in assemblea ha deciso che è un «fatto politico eccezionale» e quindi ha fatto sua la petizione creazionista deliberando l'impegno del proprio gruppo consiliare a «sostenere e votare favorevolmente la richiesta di referendum dei 16 mila firmatari». Una nuova regione dunque nella «più completa e concreta forma di autonomia».
S'alza il vento, s'alza la prora: l'altro ieri i circa 500 comuni confinari con le regioni a statuto autonomo (Ancc) si sono incontrati tramite i loro rappresentanti a Milano e hanno deciso di colpire uniti, dieci di loro sono pronti a indire altrettanti referendum, tra cui Castellavazzo e Falcade. A meno che il governo non rifinanzi il «fondo Letta», fondo creato per aiutarli ma ora esangue, giacente e mai più rimpinguato. Perché Lamon può vantare con Livinallongo tutte le affinità culturali che vuole quando in realtà non si capiscono nemmeno e quel che conta sono i soldi.
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