Alcoa, spiragli dopo la tensione a Roma: revoca della cassintegrazione
Prima gli scontri in piazza tra manifestanti e forze dell’ordine, poi la notizia tanto attesa dai lavoratori dell’Alcoa di Fusina e Portovesme giunti a Roma: è stata revocata la procedura di cassa integrazione
ROMA. Prima gli scontri in piazza tra manifestanti e forze dell’ordine, poi la notizia tanto attesa dai lavoratori dell’Alcoa di Portovesme e Fusina, giunti a Roma da Sardegna e Veneto: è stata revocata la procedura di cassa integrazione. Questo grazie all’accordo raggiunto nell’incontro al Ministero dello Sviluppo economico tra il sottosegretario Stefano Soglia, il presidente della Regione sarda, Ugo Cappellacci, la dirigenza di Alcoa Italia e i delegati sindacali di Cgil, Cisl e Uil. Il 9 dicembre ci sarà un nuovo vertice e l’azienda dovrebbe ottenere una tariffa energetica in linea con la media europea (circa 30 euro/mw).
Ma la giornata è stata tesissima. Sono volate sedie, rigorosamente d’alluminio, bottiglie d’acqua e qualche bastone. Per tre volte si è temuto che la tensione accumulata nel corso della mattinata potesse tracimare oltre il consentito, ma alla fine l’opera di mediazione dei sindacalisti ha evitato il peggio. Grazie anche alla stanchezza dei manifestanti e alla calma e alla professionalità delle forze dell’ordine.
La lunga giornata degli operai Alcoa ha registrato un primo momento, il peggiore, verso mezzogiorno, all’inizio di via Bissolati verso l’ambasciata americana di via Veneto. Il corteo doveva scendere per quella strada e arrivare in piazza Barberini, già chiusa al traffico dalla prima mattinata, quando la testa dei manifestanti ha deciso di deviare per avvicinarsi ai palazzi più blindati della Capitale. Polizia e carabinieri in tenuta antisommossa «pesante» hanno eretto un muro davanti agli operai.
A farne le spese è stato un delegato Cisl di Alcoa, Massimo Coda, 47 anni, che ha ricevuto, secondo fonti sindacali, una manganellata alla testa e si è accasciato a terra. Soccorso dai suoi compagni si è poi ripreso e ha raggiunto piazza Barberini cinquecento metri più in basso, dove è si è sentito nuovamente mancare le forze. A quel punto è stato chiamato il 118 e un’ambulanza ha portato il delegato sindacale al pronto soccorso, dove gli sono stati assegnati alcuni giorni di cura.
L’arrivo in piazza non ha calmato gli animi. Le forze di polizia e i carabinieri avevano eretto un muro pressoché invalicabile. Piazza Barberini era isolata da 200 agenti e carabinieri che con gli autoblindo e le camionette accostate ai muri impedivano qualunque uscita, se non a prezzo di ampi giri. È stato questo fatto, aggiunto a una carenza di comunicazioni tra sindacato e forze dell’ordine e alla presenza tra i manifestanti di coloro che dagli stessi dirigenti sindacali sono stati poi definiti «provocatori», a scatenare verso le 14.30 i più gravi incidenti.
Un gruppo di una trentina di operai, quasi tutti con caschi, i volti nascosti da occhiali da lavoro e passamontagna, ha iniziato a fare un sonoro girotondo intorno alla fontana della piazza, per poi dirigersi improvvisamente verso l’incrocio tra la piazza e via Quattro Fontane. Ci sono stati lanci di bottiglie e di sedie all’indirizzo degli agenti, che non hanno replicato. Sono stati attimi di paura.
Per fortuna la calma ha prevalso e lentamente, pur con cori da stadio all’indirizzo dei poliziotti e dei carabinieri, gli operai hanno fatto marcia indietro.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia
Video