Villanova (Lega): «Spero in Zaia presidente, altrimenti largo ai giovani»
Il capogruppo in Consiglio regionale: «Correre soli? Puntiamo alla coalizione unita ma vedremo. Perso troppo tempo dietro le questioni interne e i voti ne hanno risentito»
Alberto Villanova, capogruppo della Lega in Consiglio regionale, sta per finire un anno complesso. Quali sono i provvedimenti di questo 2024 di cui va più orgoglioso e quali, i più importanti, per il 2025?
«Nel 2024 il Veneto per primo ha posto temi e questioni cruciali. Una è l’Autonomia, per un Paese più moderno ed efficiente. Quanto al 2025, lavoreremo per migliorare ancora la nostra sanità, che tutti gli indicatori quotano come la prima d’Italia. E per difendere le imprese dalla crisi che ha colpito soprattutto la manifattura. Il turismo continuerà a crescere e dare soddisfazioni, anche grazie ai Giochi di Cortina».
Lo strappo sull’Irap sancisce l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza in Regione?
«È un fatto che il partito di Tosi abbia deciso di non condividere l'ultimo miglio di un lungo percorso che ha portato opere, investimenti e un consenso plebiscitario. Peccato, noi continuiamo per la nostra strada».
L’aumento dell’aliquota Irap è stato - parole vostre - un sacrificio necessario. Considerando la congiuntura che potrebbe richiedere nuovi sacrifici, dal 2025 sarà inevitabile introdurre l’Irpef?
«Non prevedo il futuro, ma i dati dicono che in tanti anni di governo abbiamo evitato ai veneti miliardi di imposte. Non a caso la nostra è la Regione con la più bassa pressione fiscale. E, se solo Roma ci lasciasse una percentuale del residuo fiscale, potremmo fare di più».
Ma lei si sente più amministratore o più politico?
«Entrambi, ma sopratutto un veneto che ama la sua terra, il suo popolo e la sua bandiera».
Tra un anno i veneti torneranno al voto, probabilmente orfani del candidato Zaia. Pensa ancora alla presidenza come imprescindibile per la Lega o potreste cedere?
«La linea del Piave è invalicabile: qui è nata la Liga e qui abbiamo formato amministratori capaci, primo fra tutti Zaia. Non a caso, questa Regione ha un valore simbolico e politico per il nostro movimento che la rende centrale per il futuro della Lega. Se i romani decideranno di non concedere la libertà ai veneti di puntare ancora su Zaia, ci guarderemo negli occhi e sceglieremo il migliore fra i tanti bravi amministratori che possiamo vantare. Specie quelli giovani».
Pensa ad Alberto Stefani?
«Sicuramente è uno di questi, ma la scelta è ampia. Nessun altro schieramento può contare su una squadra così qualificata come quella dei sindaci e degli amministratori made in Liga».
Alle Europee e Politiche, FdI ha registrato il miglior risultato in Veneto. Quale dovrà essere il futuro della Liga per riconquistare i cittadini?
«Le Regionali sono una partita completamente diversa. E in Veneto c’è ancora bisogno di Lega. Dobbiamo tornare a parlare dei problemi delle famiglie e delle imprese e poi risolverli, come sappiamo fare».
Pronti a correre da soli, se FdI non dovesse cedere?
«Noi lavoriamo per tenere la coalizione unita, ma sappiamo di essere molto radicati e di saper interpretare al meglio le istanze dei veneti. Vedremo».
Anche senza la ricandidatura, potrete comunque contare sull’appoggio di Luca Zaia, magari con una sua lista?
«Il presidente valuterà al momento opportuno. Ma sono certo che, in ogni caso, non farà mancare il suo contributo e che questo sarà pesante».
E lei cosa vorrebbe fare nella prossima legislatura?
«E chi lo sa! La Lega mi ha dato la possibilità di fare esperienze incredibili, ma volo basso: sono un militante e, come sempre, sarò a disposizione del movimento per dare il massimo, in qualsiasi posizione».
Esistono ancora due Leghe - salviniana e zaiana - o, alla vigilia della nuova stagione che si sta aprendo, i confini di queste “fazioni” si stanno confondendo?
«Per troppi anni la Lega si è concentrata sulle questioni interne e questo ha pesato sul calo di consensi. Ora vedo grandi segnali di compattezza e questo mi sprona a lavorare di più. Sappiamo che la battaglia per il Veneto è cruciale. Dividerci sarebbe un peccato mortale».
Il congresso lombardo è stato un’occasione per parlare di Lega e del suo futuro. Non parlando più del Nord, si sono persi i voti del Nord?
«Il consenso della Lega nasce tra botteghe, artigiani, agricoltori e partite Iva. Nelle piazze abbiamo raccolto la sofferenza di un Settentrione che per cultura e mentalità è più vicino all’Europa che a certe regioni del Sud. Non c’è futuro per il nostro movimento che non passi attraverso questi luoghi».
La Lega ha tradito le origini?
«No. La Lega è il partito che si batte per l'Autonomia. E questa è la ragione sociale da sempre del nostro movimento».
La Lega deve essere un partito nazionale?
«Lo è già. Un movimento nazionale, composto da tante articolazioni regionali che lottano per l’identità dei territori».
Se la Consulta accorderà il via libera al referendum e questo dovesse sancire la fine dell’Autonomia, cosa ne sarà dei vostri obiettivi?
«Io sono fiducioso. In ogni caso, continueremo a lottare, come facciamo senza paura da 40 anni. Che un giudice lo ammetta o no, la questione settentrionale esiste, ed esiste il popolo veneto. Più Roma boicotterà le nostre richieste, più i veneti si stringeranno attorno al loro leone. L’Autonomia si farà, questo è fuori discussione. È solo una questione di tempo».
Perché andare avanti, se gli italiani non vogliono l’Autonomia?
«Perché i veneti al voto hanno chiesto il riconoscimento di un diritto sancito dalla Costituzione. Sarebbe pericoloso se dovesse emergere che questo diritto viene negato. La storia lo insegna: i veneti sono leali e collaborativi, ma non si fanno prendere in giro».
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