La madre di Trentini: «La Pasqua senza Alberto un’agonia»
Il caso del cooperante rinchiuso in Venezuela. I genitori del 45enne del Lido non sono mai riusciti a mettersi in contatto con il figlio: «Grati a chi si mobilita per lui»

«Io sto male, malissimo. Anche il giorno della Pasqua, passato senza Alberto: è una lunga agonia. Come sapete, non si sa più nulla di lui. Vi sono grata per il pensiero, e ancora una volta ringrazio chi continua a mobilitarsi per lui».
La madre di Alberto Trentini rompe il silenzio nel giorno che segue il Lunedì dell’Angelo e ringrazia chi non smette di pensare a lui, lacerata dal dolore per un Natale e una Pasqua senza risposte, senza notizie del figlio, ancora rinchiuso delle carceri venezuelane.
Richiuso da 160 giorni
Giovedì 24 aprile saranno 160 giorni senza una sola chiamata da parte del volontario veneziano, detenuto dal 15 novembre scorso nel carcere El Rodeo I, nello stato di Miranda, periferia di Caracas, a circa 30 chilometri dalla capitale in una località chiamata Guatire.
E intanto rimane lì, appeso sotto le finestre dell’ultimo piano in via Anafesto al Lido, dove vivono i genitori Armanda ed Ezio, lo striscione con scritto «Alberto Trentini Libero», con il volto di Alberto stampato sul cartellone a guardare il cielo.
Turisti e residenti entrano ed escono dall’atrio del condominio, si fermano un istante, alzano gli occhi e dicono piano: «Sì, stiamo seguendo la sua storia. Preghiamo per lui».
L’appello
L’appello disperato dei genitori affinché il governo italiano intervenga per riportarlo a casa, come fatto per la giornalista Cecilia Sala in Iran, si scontra però con il muro di silenzio delle autorità venezuelane.
Trentini è accusato di cospirazione davanti al tribunale speciale per il Terrorismo, un’accusa che chi conosce bene Alberto definisce come «folle e pretestuosa» poiché sa che in Venezuela era lì solo per dedicarsi alla sua missione di volontario umanitario, portando aiuti vitali a chi vive nel più assoluto bisogno. Non ci sono prove che Trentini fosse mai stato in contatto con oppositori politici del regime di Nicolas Maduro o con l’intelligence: l’unico legame verificato con il pese sudamericana era una ragazza con cui aveva avuto una relazione e per cui aveva deciso di andare lì.
«Non possiamo e non vogliamo arrenderci, stiamo lottando contro un principio: che Alberto non scompaia nell’indifferenza» spiegano a più riprese gli amici da una vita di Alberto, che insieme a Giulia Palazzo e Luca Tiozzo organizzano le mobilitazioni. «Non vogliamo questo silenzio, non vogliamo nemmeno appendere striscioni. C’è solo una cosa che faremo volentieri: abbracciarlo, a casa sua».
Il parroco
Nella parrocchia di Sant’Antonio si sono appena concluse le celebrazioni per Alberto, organizzate dal parroco don Renato in occasione della Pasqua: «Vedo spesso la mamma e il papà di Alberto, e non posso fare a meno di notare quanto siano provati da questa prigionia che sembra non avere fine» il commentato di don Renato Mazzuia. Ma Trentini da più di cinque mesi non ha più un volto, voce, nome.
Ci si aggrappa all’unico filo di speranza delle mobilitazioni civili, con digiuni, fiaccolate, flashmob, petizioni, striscioni, muri di speranza virtuali, comprese le due lettere della madre alla premier Giorgia Meloni.
C’è l’abbraccio di una Venezia che lo sostiene come un figlio, e fa il tifo per il suo ritorno a casa.
Il governo italiano ha ribadito più volte di aver intrapreso iniziative per il rilascio del 45enne: sul caso sono intervenuti pubblicamente il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il sottosegretario Alfredo Mantovano, con la presidente del Consiglio Meloni che nei giorni scorsi ha contattato direttamente la famiglia di Alberto per assicurare che il governo è impegnato per il suo rientro.
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