Cento giorni senza Alberto Trentini, l’appello dei familiari: «Fate di tutto per salvarlo»

Amici e parenti si sono mobilitati per non far calare il silenzio sulla sparizione del 45enne cooperante umanitario del Lido di Venezia detenuto in Venezuela senza un’accusa formale

Eugenio Pendolini
Alberto Trentini
Alberto Trentini

Domenica 23 febbraio saranno cento giorni. La mamma di Alberto Trentini, Armanda Colusso, attende una chiamata da suo figlio, invano. Dal 15 novembre scorso, il 45enne cooperante umanitario si trova in stato di detenzione in Venezuela, senza un’accusa formale e senza possibilità di mettersi in contatto con i suoi familiari.

Appelli, fiaccolate e mobilitazioni da parte dei conoscenti e dell’associazione Articolo 21 si sono moltiplicate in queste settimane con l’obiettivo di non far calare il silenzio sulla vicenda. In diretta dagli studi di “Che tempo che fa”, domenica scorsa, la mamma del cooperante ha lanciato per l’ennesima volta una richiesta di aiuto al governo, rivolgendosi direttamente alla premier Giorgia Meloni: «Mi aspetto che me lo porti a casa, che percorra delle strade anche facendosi aiutare dalle Istituzioni di altri Paesi come è stato fatto per la nostra giornalista Cecilia Sala».

La diplomazia, sotto traccia, è al lavoro per la sua liberazione. Ma il risultato, quando ormai sono passati oltre tre mesi dall’arresto del 15 novembre, sembra essere ancora lontano.

La conferma, in questo senso, è arrivata non più tardi di due giorni fa dal ministro degli Esteri Antonio Tajani in persona: «Siamo di fronte a una trattativa complicata, non è una trattativa semplice. Ce la stiamo mettendo tutta. Capisco la preoccupazione della madre, ce l’avrei anch’io. Il governo non si è mai dimenticato di questo cittadino italiano né di nessun altro cittadino italiano. Non lasciamo indietro nessun nostro connazionale, ma i problemi non si risolvono da un giorno all’altro. Speriamo di risolvere questo caso in tempi rapidi. Ci sono 2500 italiani detenuti nel mondo. Non siamo assolutamente disattenti a quello che è accaduto in Venezuela così come in altre parti del mondo».

Il cooperante veneziano è stato fermato ad un posto di blocco il 15 novembre mentre si trovava in missione da Caracas a Guasdalito. Il suo arresto è diventato di dominio pubblico a inizio gennaio, grazie alla Commissione Interamericana per i diritti umani (fondata nel 1948, sede a Washington) che ha scoperchiato il vaso sulla vicenda.

Nel documento pubblico, si legge che il 45enne cooperante veneziano si trovava in Venezuela dal 17 ottobre 2024 per una missione con la Ong francese Humanity e Inclusion, che si occupa di portare aiuti umanitari alle persone in situazioni di povertà, esclusione, conflitto e disastri. Fin da subito, aveva raccontato alla sua compagna di aver incontrato ostilità in ogni aeroporto quando viaggiava tra l’Amazzonia e Caracas.

Prima di essere arrestato, con un messaggio su WhatsApp, le aveva detto che intendeva dimettersi dalla ong per cui lavorava a causa di un clima ostile percepito dal cooperante. Il giorno dopo, l’arresto al confine con la Colombia, nello Stato meridionale di Apure, regione dalla quale provengono diversi detenuti stranieri che lavorano per ong accusati di essere spie o mercenari (tra cui un altro detenuto straniero del Danish Refugees Council, presso il quale Trentini aveva lavorato in passato). Il 45enne era in possesso di regolare permesso di lavoro umanitario, che però non gli è servito ad evitare l’arresto.

La famiglia di Trentini si è affidata all’avvocato Alessandra Ballerini, già difensore della famiglia Regeni. Fin dalle prime battute, il suo caso è stato seguito anche da Articolo 21 che ha supportato gli amici di Trentini, autori di una petizione online che ha superato le 50 mila firme. La sera dell’otto febbraio trecento fiaccole si erano accese davanti al piazzale della chiesa di Sant’Antonio, al Lido, poco distante dalla casa dei genitori del 45enne.

Sullo schermo davanti alla chiesa sono stati proiettati due brevi video. Nel primo, gli amici di lunga data hanno raccontato che persona sia Alberto, la sua disponibilità al dialogo, il suo carattere solare. Nel secondo, si susseguono testimonianze in italiano, in inglese e in spagnolo.

Sono i colleghi di Trentini, i cooperanti umanitari che insieme a lui hanno consegnato beni di prima necessità e kit di soccorso ai migranti, che hanno distribuito generi alimentari alle famiglie colpite dalle inondazioni. Nato al Lido di Venezia e diplomatosi al liceo scientifico Benedetti, il 45enne veneziano nel corso degli anni ha accumulato svariate esperienze sul campo sparse in giro per il mondo: nel 2008 in Ecuador, poi in Bosnia, tra il 2013 e il 2014 si sposta invece in Etiopia nell’ambito di un progetto finanziato da Europa e Fao per migliorare i mezzi di sussistenza delle comunità agropastorali dell'Etiopia meridionale; poi ancora in Paraguay per gestire la risposta all’emergenza alluvione che sconquassa il paese. E ancora Nepal, Grecia, Perù e infine Venezuela con la Ong francese Humanity and Inclusion. Sempre in prima linea per aiutare il prossimo. Anche nei contesti più difficili. Lontano da casa per lunghi anni ma sempre libero.

Ora, da cento giorni, quella libertà gli è stata tolta. E Trentini, insieme ai tanti che gli vogliono bene, non vede l’ora di tornare a casa. Finalmente

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