Inchiesta Palude, la Cassazione annulla i decreti di perquisizione a Ceron e Donadini

Accolti i ricorsi della difesa: la Corte Suprema ordina alla Procura di restituire cellulari, computer, mail e di non utilizzarle nell’indagine che vede il sindaco Brugnaro e il suo staff accusati di concorso in corruzione

Roberta de Rossi

Gran colpo della difesa nell’indagine Palude.

La Corte di Cassazione ha dichiarato nullo il «decreto di sequestro del 15 luglio emesso dal pubblico ministero presso il Tribunale di Venezia nei confronti di Derek Donadini e Morris Ceron» e «dispone la restituzione di quanto di sequestro agli aventi diritto  senza trattenimento di copia dei dati».

Così riporta il testo dell’ordinanza che ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati Alberto Berardi (difensore del capo di gabinetto del sindaco Brugnaro e oggi direttore generale del Comune Moris Ceron) e Matteo Garbisi (difensore del vice capo di gabinetto Derek Donandini), che avevano impugnato la decisione dle Tribunale del Riesame di Venezia, che invece aveva dato ragione alla Procura.

Derek Donadini
Derek Donadini

Nulla di quanto sequestrato potrà essere utilizzato nel motivare eventuali accuse nei confronti di Ceron e Donadini, indagati – tra l’altro – con l’accusa di concorso in corruzione insieme al sindaco Luigi Brugnaro nell’ambito della cosiddetta “vicenda Pili”, ovvero la trattativa che si svolse tra il 2016 e il 2017 per vendere i 41 ettari dell’area di proprietà di Porta di Venezia al magnate di Singapopre Ching Chiat Kwong, a sua volta indagato in questa parte dell’indagine, insieme al suo braccio destro in italia Luis Lotti, all’imprenditore Claudio Vanin (il grande accusatore che ha dato via a tutta l’indagine) e all’ex assessore Renato Boraso.

Moris Ceron
Moris Ceron

Nell’ipotesi di accusa Boraso – che ha ammesso altri illeciti, ma sul punto di è dichiarato estraneo a qualunque interessamento –  sarebbe stato il destinatario di una tangente da 73 mila euro pagata dalla Falc legata a Vanin, per spingere al ribasso  (da 14 a 10,8 milioni) il prezzo d’asta di Palazzo Papadopoli e  offrirlo così a costi agevolati – è l’ipotesi della Procura – a Chiang, per convincerlo al vero affare: acquistare i Pili per 150 milioni di euro. Non se ne fece nulla.

Detto che tutte le parti hanno risolutamente sinora negato qualsiasi illecito nel merito, ora arriva una decisione della Corte di Cassazione che è certamente un punto  a favore della difesa.

LE CONSEGUENZE

«Il che significa», spiega l’avvocato Berardi, «che non solo devono essere immediatamente restituiti computer, telefonini, tutto quanto sequestrato, ma che i dati che ne sono stati estratti non potranno essere utilizzati nell’inchiesta. Noi abbiamo chiesto e ottenuto l’annullamento della decisione del Tribunale del Riesame, che invece aveva confermato il sequestro».

«Quello che è stato trovato o sequestrato non potrà essere utilizzato dalla Procura», prosegue l’avvocato Berardi, «compreso il famoso “memorandum” il riassunto in forma di nota dei contatti avuti dalle parti, che invece fu estratto e portato dalla Procura proprio all’udienza per il Riesame».

"PALUDE” VERSO LA FINE DELLE INDAGINI

La decisione della Cassazione arriva proprio nei giorni in cui la Procura sta chiudendo l’indagine e si appresta a depositare il 415 bis: se l’ex assessore Renato Boraso (accusato di 12 capi di corruzione) è già in attesa dell’udienza per poter patteggiare e con lui altri tre imprenditori, mentre altri trenta indagati attendono di conoscere la loro posizione, certamente tra le decisioni più attese c’è proprio la decisione della procura di mantenere o meno le accuse mosse al sindaco Brugnaro e al suo staff in merito all’affare Pili.

IL PERCHE’ DELLA DECISIONE

La Cassazione non ha ancora depositato le motivazioni della propria decisione. Restano agli atti le contestazioni degli avvocati Berardi e Garbisi.

«Noi abbiamo evidenziato come profilo di illegittimità che si è trattato di un provvedimento esplorativo di sequestro “a strascico”,», spiega l’avvocato Berardi, «ovvero senza indicazioni puntuali e circoscritte su quanto andasse o meno cercato. Si sono presi tutti i dispositivi, ma anche tutte le mail, senza alcun limite temporale. E a distanza di giorni dalla notifica dell’ordinanza questo materiale non è ancora stato restituiti»

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