Gianluigi Modena: «La storia di mio nonno Giuseppe, oppositore politico»
Giornata della memoria. Il sessantenne: «Sono nato due volte, la prima nel 1965, la seconda nel 2001, quando ho scoperto la storia della mia famiglia, che fino a quel momento mi era sconosciuta».
A Gianluigi Modena, 60enne impiegato in banca e residente a Pernumia, sarebbe piaciuto avere un nonno che gli raccontasse storie e aneddoti, chicche di un mondo esistito prima di lui, che gli spiegasse parole come “bivarolo” o “straissare”, parole di una volta, che non trovi su Google.
Un nonno così, a dire il vero, ce l’aveva ma non ha fatto tempo a conoscerlo, perché la guerra è arrivata prima di lui e, come un fiume, se l’è portato via.
Gianluigi, quando e dove inizia la sua storia?
«Sono nato due volte, la prima nel 1965, la seconda nel 2001, quando ho scoperto la storia della mia famiglia, che fino a quel momento mi era sconosciuta».
Fino a quel momento cosa sapeva?
«Che mio nonno era morto in guerra, che la nonna insieme a mio padre e suo fratello si era rifugiata in provincia di Padova e che poi i figli vi si erano stabilizzati. Per me, la casa di famiglia a Venezia era nel campiello Albrizzi, a San Polo. Credevo che mio padre fosse cresciuto lì».
E invece?
«Invece la storia era completamente diversa, e scoprirla è stato uno shock. Mi ci sono voluti anni per rielaborarla, non so ancora se ci sia riuscito a farlo».
Riavvolgiamo il nastro, torniamo indietro, chi era davvero suo nonno?
«Si chiamava Giuseppe Modena. Il cognome, si sente, è ebraico, com’era anche la sua famiglia. I suoi genitori, Licurgo e Luigia Franceschinis, avevano un negozio di strasseria a Rialto, dove vendevano abiti di seconda mano ma, soprattutto, vestiti per gli ebrei. Li sporcavano apposta con l’inchiostro, in modo che non fossero più “buoni” per vendergli agli altri e potessero destinarli ai membri della comunità ebraica».
Anche Giuseppe era ebreo?
«No, era ateo. Era un socialista convinto, era cresciuto in una casa densa di ideali: il mio bisnonno con il cugino e i fratelli Bandiera avevano lottato per la Giovine Italia. Il nonno faceva il tipografo con Vittoria de Pra, che avrebbe poi sposato».
Poi arriva il fascismo.
«Ha sempre rifiutato la tessera, anche se gli avrebbe permesso una vita più tranquilla. Ogni volta che Mussolini o chi per lui arriva in città, viene portato in carcere il giorno prima».
Nel 1943 la situazione precipita, che clima si respira a Venezia?
«Chi consegnava alla milizia una famiglia “scomoda” riceveva cinquemila lire e una casa. Mia nonna, per proteggere i figli, lascia campo della Maddalena per andare a vivere a San Polo. Un pomeriggio, mio papà e suo fratello Aldo sono inseguiti dalla Gestapo e si rifugiano nella basilica di San Marco, considerata zona franca».
E la famiglia si spacca.
«Papà viene frettolosamente cresimato in Patriarcato, nonna dopo aver scampato una trappola tesa da ex amici, prende i figli e si rifugia da dei parenti a Piove di Sacco. Nonno viene arrestato a scopo precauzionale».
Quindi torna a Santa Maria Maggiore?
«Sì, il primo gennaio del 1944. A novembre verrà deportato a Mauthausen e nel gennaio del 1945 morirà nel campo satellite di Melk, a causa di una puntura di benzina. Il campo sarebbe stato liberato di lì a due mesi».
Quando ha scoperto questa storia?
«Era il 2001 ed ero a Roma per lavoro, chiacchieravo con un amico della Comunità ebraica di Padova che aprì il vaso di Pandora. Allora chiamai mio padre e quando gli domandai, scoppiò a piangere».
Gli ha mai rimproverato il fatto di non avergliene mai parlato?
«Erano altri tempi, io con mia figlia parlo di tutto, ma allora c’era una sorta di timore reverenziale. Non posso rimproverargli niente perché non so cosa abbia passato».
Com’è stato per lei scoprire una storia completamente diversa e così dolorosa?
«Difficilissimo. Dopo quell’episodio del 2001 mi sono buttato a capofitto nella ricerca, volevo capire tutto. Poi nel 2014 un amico mi chiama per dirmi che in campo della Maddalena avevano messo una pietra d’inciampo per il nonno. È stato strano, per me la casa di famiglia era a San Polo».
Che rapporto ha con Venezia?
«Una città che amo, un posto che mi è sempre piaciuto molto è il campo della Maddalena, a Cannaregio. Quando mi sedevo lì mi sentivo a casa, in pace. Scoprire che lì vivevano i miei nonni, mi ha fatto un certo effetto. È stato un cerchio che si è chiuso».
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