Da Tangentopoli a Unabomber, il giudice Marini va in pensione e sul serial degli esplosivi ammette: «Non credo sarà preso»
Dopo 40 anni in magistratura, Luca Marini ha firmato venerdì 30 agosto la sua ultima custodia cautelare per poi appendere “la toga al chiodo”
Con inchieste (da pubblico ministero) e processi (da giudice) ha attraversato la storia criminale e sociale di Venezia e del Veneto: da Tangentopoli a Unabomber.
Dopo 40 anni in magistratura, Luca Marini ha firmato venerdì 30 agosto la sua ultima custodia cautelare - per un uomo trovato a Venezia, con una pistola 765 con la matricola abrasa - ha appeso la toga al chiodo e ha lasciato la Cittadella di Giustizia di Venezia, andando in pensione.
Nessun rimpianto? Sarebbe potuto restare in servizio altri 3 anni....
«No, no, sono felicissimo. La mia carriera giudiziaria è iniziata il 10 giugno 1985, come uditore giudiziario agli uffici di Rialto, appena vincitore di concorso, poi tanti anni da pretore a Soave. Quindi giudice a Venezia con tutti i processi per la Tangentopoli veneta, il processo per l’incendio di Coin a Venezia, i processi ai croupier che rubavano le fiches del Casinò municipale negli anni Novanta. Poi a Verona: ancora Tangentopoli, con il processo all’allora ministro Prandini: tutti condannati con sentenze passate in giudicato con soddisfazione. E, quindi, il passaggio alla Procura di Venezia: sette anni lunghi».
Compresa l’inchiesta Unabomber, con tutte quelle violenze rimaste senza un responsabile. Ora la Procura di Trieste ha riaperto l’indagine: pensa si arriverà a un “nome”?
«No, non credo che sarà mai identificato. Anche le nuove prove individuate rivedendo i corpi di reato di allora, non credo che porteranno ad identificare il reale responsabile. Si riteneva già all’epoca che lui usasse nastri adesivi utilizzati da altri, quindi anche se i trovasse un Dna non è detto sia di Unabomber. Come si sa, all’epoca come Procura di Venezia avevamo chiesto di far seguire l’indagato Zornitta, per coglierlo in flagranza, in assenza della quale era difficile ricondurre a lui. Non fu autorizzato. Finora lo stato corrisponde alle prove sul campo. Non sono ottimista...ma non si sa mai, tutto è possibile...una svolta clamorosa». La posizione Zornitta, allora, venne archiviata.
Poi è passato al Tribunale civile: anche lì casi di cronaca.
«Di quegli anni ricordo il fallimento della compagnia aerea Myair dell’ex ministro Bernini, molto impegnativo, e il fallimento dei cantieri De Poli di Pellestrina: avevano trasferito tutte le risorse in Olanda, ma siamo riusciti a pagare tutti i creditori. A un certo punto abbiamo venduto tre “chimichiere”, valevano un botto!».
Di tutto passa nella vita di un magistrato...
«Per me, poi sono giunti 7 anni da presidente del Tribunale penale e facente funzioni a Ferrara. Infine, gli ultimi 6 anni da presidente dell’Ufficio dei giudici per le indagini preliminari: anni molto impegnativi con poco personale, tanti pochi colleghi, molte difficoltà quotidiane. Una giostra. Dopo 40 anni era giunta l’ora di cambiare vita. Dal 3 settembre ci sarà un nuovo presidente aggiunto, il dottor Alberto Scaramuzza».
È cambiata tanto la magistratura in questi 40 anni?
«Completamente: scrivevamo ancora le sentenze a penna, nell’85. I primi computer li abbiamo visti alla metà degli anni Novanta. Ora è in corso la rivoluzione digitale del processo penale, ma senza i mezzi: ci hanno dato una 500 e vorrebbero funzionasse come una Ferrari, ma non è così. O il ministero dà fibra, computer adeguati, computer, reti o il processo telematico avrà una molto lunga gestazione. Certo, è il futuro e non ci si può sottrarre, ma anche il ministero non si può sottrarre e deve fare la sua parte e dare funzionalità e infrastrutture. Personale amministrativo, ora, in realtà ce n’è anche troppo: ma hanno inventato il “precariato giudiziario” dove prima non c’era. Con solo contratti a termine, appena le persone trovano un lavoro se ne vanno: l’80% della prima tranche assunto con i fondi del Pnrr è andato via».
C’è un caso, tra tanti, che le è rimasto più nel cuore?
«Rimane l’incendio di Coin, a Venezia, perché ha coinvolto 5 persone e una ragazza incinta, Ci fu una lunga controversia se le vittime fossero 5 o 6. Umanamente mi aveva colpito molto. Una ferita nel cuore della città. Poi il processo per lo scandalo dei furti dei croupier al Casinò di allora: fu uno dei miei primi. Gli avvocati mi vedevano giovane e mi regalarono un enorme libro sui giochi, come per spiegarmi di che si trattava. Fu divertente, ce l’ho ancora».
Lei è passato da pm a giudice: che ne pensa della separazione delle carriere?
«Una volta ero contrario, ma adesso francamente sono molto favorevole».
Come è possibile un cambiamento così radicale?
«Perché troppo spesso i pubblici ministeri interferiscono nella progressione di carriera dei giudici: le Procure sono gli uffici di Serie A e i Tribunali sono al traino e francamente vedo molti giovani colleghi che hanno paura di contrariare il punto di vista di una Procura potente. Dai torto al pm oggi in udienza e domani lui ti giudica la carriera nel consiglio giudiziario. Vero che funzione anche al contrario, ma non è vero che i Tribunali hanno lo stesso potere, anche mediatico ».
Quindi ora una nuova vita?
«Muratore nella casa nuova, nonno dei nipotini e “consigliere” della figlia giudice al Tribunale di Verona».
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